venerdì 9 marzo 2012

5 anni fa

Accidenti, sono già passati 5 anni dal mio primo post. (Perchè CAFFE' AMARO http://blog.libero.it/caffeamaro/2337296.html). Un post in cui spiegavo perchè la scelta di questo nome "caffè amaro"per il mio blog.
A distanza di 5 anni confermo: molto meglio il caffè amaro, aiuta a vedere le cose con occhi diversi.
Il disincanto necessario per una sognatrice inguaribile come me.

5 anni fa mi presentavo alla rete (http://blog.libero.it/caffeamaro/2340006.html), convinta che essere una blogger fosse un preciso dovere per una giornalista come me che ha il privilegio di incontrare e conoscere persone e realtà ad altri inaccessibili, che ha l'opportunità di viaggiare nel terzo mondo, di vedere le cose dal backstage...
5 anni fa facevo la giornalista a tempo pieno, ma purtroppo a portafoglio vuoto. Un caffè amaro mi ha aiutato a scegliere la mia strada e oggi sono convinta di aver fatto la scelta giusta, la più razionale - come sempre - anche se il mio cuore batte ancora forte quando prendo in mano i libri di Terzani e di Kapuscinski. Pulsano di vita e di sogni ancora oggi.

5 anni fa avevo dei sogni. Alcuni si sono infranti non appena hanno toccato il suolo della realtà, altri invece li ho frantumati io con i miei errori, altri sono fioriti splendidamente, altri invece sono ancora incartati.
5 anni fa non sapevo ancora cosa avrei fatto da grande, oggi ho le idee un po' più chiare. So benissimo cosa voglio, ma ancora oggi non so cosa aspettarmi dal futuro.

Anche oggi, come 5 anni fa, mi ritrovo qui a scrivere sul mio blog, convinta che abbia un senso. E ancora oggi, come 5 anni fa, non sono ben sicura di aver capito quale sia questo senso. Condividere, forse...

Condividere è una parola che mi piace, che dà senso alla mia voglia di scrivere e di raccontarmi. Forse rischio di passare per esibizionista. Forse lo sono anche. O forse no, sono solo un po' coraggiosa.
La verità è che sono certa di aver ricevuto molto. La mia storia è disseminata di piccoli pacchetti incartati con cura e con amore: dal mio lavoro alla mia famiglia, alle piccole grandi gioie quotidiane.
Se non condivido tutto questo che senso ha?

La reporter che è dentro di me non soffocherà tanto facilmente in mezzo ai comunicati stampa.
Per questo mi tengo stretto questo angolino. E' il mio taccuino infinito, la mia moleskine inseparabile.

Sorseggio la mia tisana calda che profuma la camera di vaniglia e miele. Anche se a dir la verità, dato che domani mattina è il mio compleanno, stasera preferirei inebriarmi dell'aroma di un tè al gelsomino, come ai vecchi tempi, come cinque anni fa...

giovedì 8 marzo 2012

Donne che sono "troppo"

La cosa che mi dà più fastidio è che dipenda ancora tutto dagli uomini. Anche nel raggiungimento dell'equilibrio di diritti e doveri dipendiamo ancora cosi tanto dalla loro capacità di cedere qualche millimetro di potere, che è per questo che siamo ancora troppo indietro.

Nella tristezza del ricordo della morte delle donne operaie finisce che celebriamo l'ennesima festa consumistica.
I pakistani all'angolo delle strade si fanno sfruttare dai magnaccia vendendo mimose nel cellophane agli sfruttatori che le comprano.
E fiotte di donne che dimostrano ogni anno la loro sciocchezza passando la serata nei locali, come fosse questo (e magari uno strip maschile) il massimo della parità raggiunta.

Non ci sarà mai una parità tra uomini e donne. Le donne avranno sempre quel di più -che qualcuno interpreta come un problema- della gravidanza e della maternità.
E io penso che non si possa fingere che non sia un elemento di differenza tra uomini e donne. Come non si può fingere che non sia un elemento di differenza tra coloro (uomini e donne) che hanno figli e coloro che non ne hanno.
Inutile dire che le donne sul lavoro sanno essere all'altezza se non superiori ai colleghi maschi.
Siamo ancora lontani, molto lontani.

Gli uomini ancora fanno fatica ad accettare la messa in discussione del loro ruolo predominante e sono sempre più numerosi i casi di violenza sulle donne che alla base hanno sempre questa incapacità ad accettare la libertà delle donne.
Io dico che questa è la vera grande debolezza maschile: il non capire e non accettare la diversità femminile.

Non mi piace parlare di superiorità, anche se ci scherzo molto. Credo che siamo profondamente diversi per essere complementari, per riuscire a realizzare grandi cose solo se condividiamo diritti e doveri in modo equilibrato.

Purtroppo molti uomini faticano a reggere questo equilibrio.
Forse anche perché hanno a fianco donne che lo sbilanciano in senso opposto, che sono "troppo"...

Anzi, mi sa che è proprio questo il problema.


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mercoledì 7 marzo 2012

HoneyUSA. La storia sotto i grattacieli di New York

29 luglio 2011 - NEW YORK


E pensare che qui, al posto di tutti questi grattacieli e queste strade c'erano boschi, piccoli villaggi di tribù native, cacciatori, pescatori, coltivatori di mais, fagioli e tabacco, talvolta in guerra tra loro.
E pensare che i primi esploratori europei ad arrivare in questa zona furono italiani, per la precisione fiorentini. Un certo Giovanni da Verrazzano passò di qui con una nave francese nel 1524 e fu seguito solo nel 1609 da Henry Hudson (che diede nome al fiume che sfocia nella baia di New York). In questo periodo bazzicano la zona solo dei mercanti di pellicce della Compagnia delle Indie Orientali, oltre alla ventina di villaggi collegati da sentieri, proprio qui, nei dintorni di Central Park.

I problemi cominciarono a partire dal 1624 quando la Compagnia invia un centinaio di coloni per la creazione di un centro commerciale. Questi si stabilirono nella zona inferiore dell'isola di Manhattan e chiamarono la colonia Nieuw Amsterdam, poichè erano olandesi. Ad essi infatti si deve la caratteristica architettonica delle case alte e a filo strada,  tipiche dei Paesi Bassi alle prese con la gestione del problema delle maree. La leggenda narra che a "comprare" l'isola di Manhattan fu Peter Minuit che la barattò con perline e poche cianfrusaglie.
Iniziano i conflitti con gli indigeni culminati con feroci massacri. Inizia l'importazione degli schiavi africani impiegati nei lavori di costruzione della città. Arrivano anche gli ugonotti e gli ebrei e infine gli inglesi che senza troppa difficoltà subentrano agli olandesi che lasciano una città disorganizzata e abbandonata a se' stessa.

Si verificano le prime rivolte degli schiavi neri, viene costruita la prima sinagoga nei dintorni di Wall Street. Nel 1664 Nieuw Amsterdam diventa New York e già nel 1700 conta oltre 11mila abitanti.
Il resto della storia forse emerge da qualche ricordo dei libri di storia delle superiori: la crescita del malcontento dei coloni verso la madre patria, il generale Washington protagonista degli scontri contro gli inglesi, la guerra di indipendenza americana, la città data alle fiamme, la fuga degli inglesi e la nomina di George Washington come primo presidente degli Stati uniti d'America nel 1789.
Inizia una nuova storia nello stesso anno in cui in Europa ne finisce un'altra, decapitata dalla Rivoluzione francese.

Non c'è alcuna traccia di questa storia tra le strade di New York.

Tutto si sviluppa in altezza come a voler dimenticare le radici e che tutto questo impero del progresso e del denaro è costruito sul sangue degli indigeni e della loro terra.

Non riesco a non pensarci mentre percorriamo le strade nei dintorni del Wall Trade Center e di Ground Zero. Non provo alcuna forte emozione alla vista di quel vuoto. Non sono brava a fare i conti, ma quel giorno l'America e il mondo hanno pianto la morte di circa duemila persone. E me ne rammarico.
Mi chiedo però  chi abbia mai pianto per le centinaia di migliaia di nativi e di schiavi africani sterminati per consentire la costruzione di quelle stesse torri...


Per leggere gli altri appunti di viaggio dagli USA:
http://caffe-amaro.blogspot.com/p/usa-moleskine_05.html

HoneyUSA: Due italieni nella metro di New York

27 luglio 2011- NY

Io volevo andare a piedi : siamo a New York per la prima volta, c'è il sole, la temperatura é piacevole, l'aria fresca... Ma alla fine ha vinto lui e il primo giorno abbiamo preso l'autobus per raggiungere l'estremità inferiore di Manhattan da Upper East Side dove si trova l'appartamento in cui alloggiamo.
"Se non camminiamo almeno vediamo la città dai finestrini". Dico io. Il genio.
"Sulla cartina sono una manciata di centimetri, che sarà mai".
Devo ancora abituarmi al diverso concetto di distanza: un'ora e mezza di traffico, bloccati, fermi dentro il bus con l'aria condizionata a palla. Dai finestrini si vedono solo macchine e taxi, palazzoni interminabili, marciapiedi affollati e semafori. A piedi non saremmo mai arrivati.

"Al ritorno meglio prendere la metro" concordiamo.
Anche perché merita. Non solo è più veloce, ma é un'esperienza.
Le comiche.
Cerca sulla cartina il punto esatto della stazione. Ecco il simbolo della metro. Scendi le scale, passa il tornello con il biglietto e intuisci la direzione del cunicolo da seguire. Una botta di caldo afoso. Togli il foulard dal collo, comincia ad appiccicarsi la maglietta alla pelle. Sferragliare di treni. Umanità variegata che passa.
Scendi altre scale, percorri altri cunicoli - pensi che è meglio non pensare al terrorismo e agli incidenti - scendi ancora e ringrazi il cielo per avere solo uno zaino leggero sulle spalle e non una valigia. Sempre più afa.
Arrivi a un binario ma lì ti accorgi che il tuo treno sta passando sul binario opposto. Ritorna su, su, cunicoli, scale, scale mobili. Tornelli. Eh no! Stiamo tornando fuori! Usciamo e rientriamo. Col cavolo, ormai il biglietto non vale più!
Vai alla biglietteria e sfodera il tuo inglese scolastico arricchito dalla visione di tutte le puntate di Lost in lingua originale. La signora alla biglietteria non capisce una mazza.
Provi con i gesti, - Marco falle un sorriso tu, fai qualcosa!
Gli dice "we came from Venice, we are in honey moon". E allora si impietosisce e ci lascia rientrare senza sprecare un altro biglietto. Non la vediamo, ma probabilmente mentre passiamo sta scuotendo la testa e pensando "italieni".

É già passato un quarto d'ora. Ripercorri i cunicoli, scale, scale e infine - sudati fradici- siamo al binario giusto.Arriva il nostro treno, apre le porte e vomita fuori un po' di gente. Entriamo noi vittoriosi. Un gelo allucinante. Mettiti subito la felpa sennò ti prendi una malora e ti rovini il viaggio!!! La felpa è nello zaino. Attaccati al palo della metro, togli lo zaino dalle spalle, svuota mezza roba - perché la felpa ovviamente è sotto di tutto- nel frattempo tieni la cartina delle fermate della metro tra le ginocchia. Veloce che fa un freddo cane!
Nel vagone regna un silenzio di tomba. Gli unici che fanno casino siamo noi. Italieni.
Gli unici sudati siamo noi. Gli unici che hanno freddo siamo noi. Gli unici imbaccuccati con la felpa e la sciarpa siamo noi.

Ci guardano con la coda dell'occhio, mentre sono tutti intenti a giggionare sull'iphone, con le cuffiette sulle orecchie.
Un po' come noi a Venezia guardiamo i giapponesi che si fanno le foto a Piazzale Roma. Sufficienza e compassione. Loro sembrano felici. E in effetti siamo felici anche noi.


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martedì 6 marzo 2012

HoneyUSA - Documenti. Il primo viaggio.

26 aprile 2001 - Documenti. Il primo viaggio

Ho capito. E' il nostro viaggio di nozze. Non devo lavorare. Ma non resisto, non riesco a non documentarmi., a cercare informazioni, a  studiare, a leggere libri sulla storia degli indiani d'America. Andiamo negli States, certo, ma sono pur sempre quella stessa persona che è stata nelle missioni africane e nei dintorni di Chernobyl. Posso leggere gli Stati Uniti solo nella lingua dei suoi schiavi, delle sue vittime, dei suoi ultimi. Mi servono elementi, chiavi di lettura, documenti, per viaggiare. Qualsiasi sia la natura del mio viaggio. Marco questa cosa la capisce e mi lascia fare con affetto (e forse compassione...).

Dobbiamo ancora decidere le tappe esatte del nostro viaggio e io voglio sceglierle in base ai nostri interessi, voglio pianificare tutto o almeno quanto mi è possibile. Si, lo so che lo spirito del viaggio "on the road" alla Kerouac non prevede alcuna pianificazione. Ma sono dell'idea che quando si ha una mappa precisa poi ci si può anche permettere di stracciarla, se si vuole.

Sono entrata in Anobii e ho cercato un gruppo che si occupasse di letteratura da viaggio. Ho chiesto un consiglio su alcuni libri interessanti da mettere in valigia o da leggere prima di partire per un viaggio negli States. Mi hanno risposto diversi utenti e i libri più gettonati sono stati: Sulla strada (di Jack Kerouac), Alce nero parla (di John G. Neihardt), Sul sentiero di guerra-scritti e testimonianza degli Indiani d'America (a cura di Charles Hamilton), Strade blu (di William Least Heat-Moon) ma soprattutto Gli spiriti non dimenticano (di Vittorio Zucconi).
Ovviamente io non ho resistito e dalla libreria ho portato a casa (una oggi, una domani, una dopo una settimana...) anche la Guida della Lonely Planet "Stati uniti Occidentali" e le Guide Mondadori "California" e "South west Usa", più un po' di Guide su New York (Lonely Planet e Chatwin) e l'interessante libro di Mario Maffi "N.Y. ritratto di una città". Siccome ho tanto spazio per i libri...

Divoro i libri durante i miei viaggi in treno per andare al lavoro, sfoglio le guide - pesantissime - che non mi abbandonano mai dentro la borsa. Il mio piccolo netbook e un foglio di word che sto riempiendo di parole e nomi di città, storie. Traccio mappe, consulto Google Earth, mi emoziono.
Come l'altra sera che in cucina ho sobbalzato sulla sedia una volta raggiunto con il mouse il Grand Canyon.
Calcolo le distanze, studio le tappe, le mete turistiche e culturali, quelle naturali. E' un po' come vivere il viaggio in anticipo. L'adrenalina trabocca.



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lunedì 5 marzo 2012

Quasi 30

Ancora pochi giorni e compierò 30 anni.
E non mi dispiace affatto.
30: me li sento addosso come un bel vestito primaverile a fiori. Mi calzano a pennello.
Prima ero troppo giovane per tutto, troppo giovane per sposarmi, troppo giovane per avere un ruolo professionale, troppo giovane per avere opinioni ed essere presa in considerazione.
Ora mi sento come se il mio involucro temporale corrispondesse perfettamente al mio essere interiore.
30. Se dovessi scegliere un'età da avere per sempre sceglierei questa.
Un po' di passato e di esperienza alle spalle per poter dire la mia, ma ancora tanti progetti in cantiere.
Tanti sogni già realizzati, altri ancora da tirar fuori dal cassetto.
Un punto di equilibrio inaspettato.
Luminoso.

Bello avere 30 anni. Davvero.


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