mercoledì 14 giugno 2017

Inafferrabile Venezia

Che cosa c'è di inafferrabile in Venezia se nemmeno Alberto Angela accontenta i veneziani? Stamattina leggo nelle bacheche Fb dei veneziani Doc commenti critici e osservazioni polemiche sulla trasmissione di ieri sera dedicata a Venezia, mentre parallelamente compaiono messaggi di elogio incondizionato da parte dei non veneziani. 
E se fosse una condizione costante di questa città? Cioè, se fosse davvero una difficoltà tutta veneziana di farsi comprendere a pieno al di là dello stupore? O forse è solo una dote tutta veneziana di polemizzare contro ogni tentativo di raccontare Venezia con parole e persone che non appartengono alla città?
Forse è solo che Venezia è troppo per essere compresa davvero da chi non ci vive, ed è troppo per essere apprezzata davvero da chi non la desidera perchè ce l'ha già ogni giorno sotto gli occhi. Troppi livelli interpretativi, troppa conoscenza, troppa storia e cultura prima di riuscire ad afferrarne la vera anima. E troppe complicazioni della vita reale, inafferrabili ai non veneziani, per riuscire ad amarla come merita, a proteggerla, a guidarla.
E' più facile fermarsi agli stereotipi e alle semplificazioni, magari scivolando in qualche imprecisione. E' più facile percorrere la via più battuta, la solita strada affollata di turisti. E forse non c'è alternativa possibile. Perchè le calli e i campielli, così come i patrimoni artistici e le bellezze incommensurabili di questa città, sono troppi e sono troppo per essere affrontati in modo esaustivo, completo, soddisfacente.
E se non sono i veneziani stessi ad esporsi, a spendersi in prima linea, a produrre loro stessi cultura lontano dagli interessi turistici e dagli stereotipi non possiamo pretendere che siano altri, da fuori, a saperla raccontare con quelle parole che noi vorremmo.

mercoledì 26 ottobre 2016

Prima i poveri, non prima gli italiani

"Prima gli italiani" é un'affermazione profondamente ingiusta. Significa non avere la minima idea dell'abissale differenza di punti di partenza.
In Italia i laureati sono sottopagati, mancano opportunità vere e meritocrazia, e tante cose non funzionano come dovrebbero e potrebbero per lo più per colpa della corruzione e della mancanza di senso civico. Molte persone, nel nostro paese, vivono in povertá per molti motivi diversi, a volte a causa di scelte di vita sbagliate, altre volte per il fallimento dello stato sociale. Ma nessuno, dico, nessuno nasce in Italia nelle stesse condizioni di chi nasce in Sierra Leone o in Siria. Se non altro perché qui in Italia si nasce liberi, gratuitamente accuditi in ospedale, senza bombardamenti in corso, con moltissime opportunitá di vivere una vita dignitosa pur nelle molte difficoltà.
Affermare "prima gli italiani" rispetto a chiunque altro magari fugga dalla guerra o dalla fame vera é spregevole, espressione del più becero egoismo e della piú bassa ignoranza.
Prima gli ultimi, santo cielo. Prima i poveri, semmai.

lunedì 24 ottobre 2016

The young Pope, the old Church

Dicono che mio marito assomigli vagamente a Jude Law. Quindi vederlo vestito da Papa mi poteva divertire. E poi potevo non guardare le prime puntate della serie evento descritta da tutti come grande capolavoro cinematografico di Sorrentino, e che parla di Vaticano e Chiesa? 
Ebbene, ho visto la prima puntata e ho resistito per tutto il tempo dal commentare compulsivamente su facebook "per me The Young Pope é una cagata pazzesca"(cit). 
Ho aspettato di vedere la fine della puntata, ci ho dormito sopra. Ho letto qualche recensione qua e lá perché -da assoluta ignorante di cinematografia- forse non avevo colto io qualche concetto chiave.
E le recensioni parlano di grande rivoluzione delle serie tv, di genio assoluto, paragonano la serie a House of Cards (che ho adorato anche se non quanto The Newsroom). Calma.
Ho visto la seconda puntata. E ho cercato di ammorbidire la mia prima impressione. Perchè tutto sommato la regia, le immagini, le scene sono così particolari da non lasciare indifferenti. Colpiscono, certo. Ma la storia, la trama. Santo Cielo. Così banale, così steoreotipata, così deludente.
La fissazione per i temi della sessualità, la perenne smania di potere, l'interesse morboso per il denaro e il carrierismo, la totale assenza di figure fresche e trasparenti... Non dico che questi non siano temi presenti all'interno della Chiesa, per carità. Ma io di sacerdoti e religiosi ne ho conosciuti davvero parecchi, sia in Diocesi che in giro per il mondo e devo ammettere che si tratta di persone lontanissime da quell'immagine dipinta da Sorrentino nelle sue varie scene. Non che si tratti di persone perfette o sempre limpide ma completamente di un altro spessore. 
Ok, lo ammetto, non conosco l'ambiente del Vaticano, probabilmente qualche similitudine ci sarà. Ma ho provato un certo disagio per il regista mentre guardavo le puntate. Quel disagio che si prova ad esempio quando un compagno di classe a scuola viene interrogato e non sa nulla, oppure quando senti cantare qualcuno di stonato.
E non si tratta nemmeno solo di questioni "ecclesiastiche". Ho provato quello stesso disagio quando è stato messo in evidenza il dialogo di alcuni cardinali con un vescovo africano, rappresentato come il "tonto" della situazione, per non parlare di quando si cita un "articolo scritto da un giornalista di  estrema sinistra", come se fossimo rimasti a 20 anni fa...
La storia poteva essere intrigante, e in qualche modo lo sarà lo stesso, ma è come se il regista si fosse perso gli ultimi anni. E' come se si fosse perso Papa Francesco. Come se non fossero mai state dette alcune parole, come se non fossero mai stati compiuti alcuni gesti e tutto fosse rimasto ingessato in un passato talmente improbabile da far sorridere. Il bello della fiction dovrebbe essere la sua verosimiglianza o sbaglio?
Ho improvvisamente pensato a Venezia, a quell'immagine della mia città che hanno i turisti, e intendo  quei turisti che ci stanno un weekend, percorrendo tutti il solito itinerario per acquistare souvenir made in China. Ecco, esattamente questa è la similitudine esatta. Una grande caricatura, decisamente superficiale, di un mondo e di una realtà estremamente più complessa, più profonda, più autentica, più paradossalmente moderna. Anche nella finzione tutto questo poteva emergere in modo diverso.
La Venezia Disneyland così come la Chiesa Cattolica dipinta in questa serie. Verità, ma assolutamente parziale. Certamente non esaustiva.
Ho avuto la fortuna di poter conoscere entrambe per la loro bellezza, una bellezza autentica, ricca di complessità e problematiche, decisamente lontana dagli stereotipi che sembrano pensati per soddisfare un pubblico di "turisti", forse di americani. Una bellezza forse impossibile da cogliere da chi si ferma alla superficie o è troppo intento a scattare fotografie...
Peccato.

 

domenica 18 ottobre 2015

La terza via al femminismo, un diritto



Faccio l'addetta stampa: un lavoro bellissimo, in cui uso un po' tutte le sfaccettature del mio cervello, le mie conoscenze e competenze. E lo faccio da freelance, lavorando a casa mia come e quando voglio, quindi essendo presente nella vita della mia bimba che non ha nemmeno due anni e credo abbia il diritto di vedere la sua mamma più di un'ora al giorno. Tutti mi dicono che sono fortunata, forse è vero. Di sicuro la Provvidenza mi ha aiutato.
Però ogni tanto mi guardo indietro e dico che forse non è solo fortuna ma è un po' anche merito mio, che ho scelto tutto questo e ho lottato per ottenerlo. E' merito di molti sacrifici, di tante porte sbattute in faccia e di qualche sogno infranto. E sicuramente è merito delle tante persone che in questi ultimi anni mi hanno sostenuto e hanno creduto in me: la mia famiglia, i miei clienti più fidati ormai diventati amici, i partner che non hanno preso paura di una mamma-professionista, anzi. Di tutte quelle persone dal cervello più evoluto della media che hanno saputo guardare oltre i vecchi schemi, oltre il concetto di lavoro dipendente, oltre l’orario, oltre quelle cose che “sono sempre state fatte così”, e che si sono fidate solo di me come persona e dei miei risultati.
Io ho fatto del mio meglio, anche se c'è ancora molta strada da fare. Ma mi sono fatta un culo così per tutto questo e non è stata facile.

Sono stata la prima ad andare oltre certe sicurezze, ho deciso io di fare la freelance, di aprire la partita iva, di licenziarmi da un lavoro dipendente dove mi trovavo bene ma che non mi avrebbe permesso di gestire la mia nuova vita privata. Mi sono presa tutto il rischio del salto nel vuoto sulle mie spalle e ora mi prendo anche un po' gloria per aver superato il burrone. Certo, non è mai detto. Non so cosa succederà tra un anno o due o dieci. Ma ormai chi di noi può saperlo?
Io so solo che per ora ho fatto bene. Mi sono goduta i primi due anni di vita di mia figlia come volevo e nel contempo non solo non ho perso il mio lavoro ma ho perfino migliorato la mia posizione professionale, avventurandomi in nuove esperienze arricchenti e prestigiose.

Era questo quello che volevo: un bel lavoro e una bella famiglia, insieme. Senza aut aut, senza dover per forza scegliere l’uno senza l’altro. Non è questo quello che dovrebbero poter fare tutte le donne? Non è esattamente questa la situazione ideale nella quale trovarsi a fare le mamme ma anche le professioniste? Gestendo liberamente il proprio orario di lavoro, lavorando per obiettivi con massima flessibilità, con alcuni impegni imprescindibili ma per lo più essendo presenti quando i figli stanno male senza fare i salti mortali e senza spendere tutto lo stipendio in baby sitter, magari lavorando la notte pur di trascorrere un pomeriggio a giocare sul tappeto.
Lo so che queste sono cose che sembrano fantascienza in Italia e soprattutto in quelle realtà dove lavorare è sinonimo di stare 20 ore al giorno dentro un ufficio. Ma io sono la prova vivente che non deve essere per forza così.

Da quando sono mamma e freelance tutto è meglio di prima e ho non la sensazione ma la certezza che anche la mia resa sul lavoro in termini di creatività e professionalità sia decisamente migliorata.
Ok, non varrà per tutti i lavori, non varrà per tutte le donne. C’è chi preferisce concentrarsi solo sul lavoro, chi sceglie esclusivamente la famiglia. Chi sceglie ma anche chi non ha scelta.

Fino a pochi decenni fa in Italia le donne non avevano nemmeno la possibilità di scegliere. Il loro ruolo era in casa, senza alcuna discussione. Poi le donne hanno rivendicato il loro ruolo sociale, talvolta fino a calpestare la bellezza della maternità. Chi non ci stava a mettere in secondo piano la famiglia si è trovata costretta a rinunciare alla carriera o a ripiegare sul part time, relegandosi di fatto un ruolo di subordinazione se non altro economica. Io credo invece che oggi dobbiamo poter essere nelle condizioni di scegliere anche la terza opzione, quella in cui vita privata e professionale non si escludono a vicenda. E la chiave è proprio la flessibilità. Quella vera, quella sana, quella scelta e voluta.

Qualcuno ne deve pur parlare. Qualcuno deve pur dire che si, è possibile ed è anche bellissimo.
Fare questa scelta dovrebbe essere un diritto per tutte e tutti (si perchè la famiglia è una cosa che dovrebbe coinvolgere anche gli uomini). Qualcuno deve pur dire che non si può vivere solo per lavorare ma che lavorare è più bello quando si riesce a conciliare anche un minimo di vita privata.
Qualcuno deve pur dirlo ai signori uomini che noi donne siamo capaci di fare tutto insieme e molto bene se solo veniamo messe nelle condizioni di farlo.
Compito della politica dovrebbe essere quello di favorire questi processi, di promuoverli e tutelarli. Compito di ciascuno di noi incarnarli e difenderli. O per lo meno testimoniarli.




mercoledì 14 ottobre 2015

Rivoluzionari 3.0



Sono più di due anni che non scrivo più su questo blog. In questi due anni sono successe tante cose, la più bella di tutti si chiama Sofia ed è la mia bimba. Sono stata assorbita da lei e da tutto ciò che avere una bambina piccola comporta. Due anni meravigliosi, in cui ogni istante è stato migliore del precedente.
Le cose da dire sarebbero tante, non è che non abbia scritto nulla qui perché non ne avevo il tempo. Ho scritto molto, in realtà. E non è nemmeno che abbia cambiato idea sul fatto di scrivere e condividere i miei pensieri sulla rete.
Lo faccio adesso perché è il momento di farlo e basta.
Ogni cosa nella mia vita è successa nel momento giusto. Sono sempre stata diligente e ho rispettato tutte le aspettative che gli altri si facevano su di me. No, non certo per conformismo. Ma perché a volte rispettare le regole è semplicemente la cosa che ti rende più felice, paradossalmente più libero.
Credo che ciascuno di noi abbia un progetto, una vocazione, un disegno su di sé. Ad esso è chiamato pur restando libero nei passi da compiere per raggiungerlo e realizzarlo o meno.
Non sopporto quelli che fanno i ribelli solo per il principio di essere “contro”. La trovo una cosa del tutto fuori moda.
Oggi per le persone della mia generazione la vera rivoluzione è realizzare il proprio disegno di vita nonostante le tante difficoltà. Cosa c’è di più rivoluzionario oggi di sposarsi? Di avere una famiglia? Di avere un lavoro?
Beh, io credo che la vera rivoluzione oggi sia fare tutte queste cose insieme, senza dover rinunciare a nulla. Ed è esattamente questo quello che ho intenzione di fare. La mia piccola rivoluzione personale.

Io ho studiato, ho lavorato, mi sono sposata, ho messo al mondo una figlia. Non ho mai trascurato le mie passioni ma le ho sempre sottomesse al mio senso del dovere. Ogni cosa al suo posto. Prima il dovere poi il piacere. E quando ho sbagliato, perché tutti sbagliano, ne ho pagato le conseguenze.
Ora che ho fatto tutti i compiti mi rendo conto che le mie scelte non mi hanno privato di nulla. Anzi. Oggi più che mai mi sento libera di realizzare pienamente tutti gli aspetti della mia personalità.

La mia sfida con il mondo è proprio questa: non permetterò che mi trasformino in una casalinga se scelgo di mettere la famiglia al primo posto, così come non sarò una madre degenere se vorrò contribuire con il mio cervello a rendere il mondo un posto migliore. E al contempo ho tutte le intenzioni di esprimere quello che sono attraverso le forme d’arte che mi appartengono di più, oggi ancor più di prima.

Dicono che le donne dopo aver partorito si sentono onnipotenti. E’ proprio così.




lunedì 9 settembre 2013

Ragionevoli dubbi pacifisti

"Non è che le guerre si facciano per vendere le armi?"
Che sollievo ascoltare questa domanda uscire dalla bocca di Papa Francesco ieri.

Me lo sono sempre chiesto anche io e poi piano piano ho cominciato a rispondermi che si, le guerre si fanno per tanti motivi ma fondamentalmente per ragioni di interesse economico. 
E si, certamente per alimentare il commercio di armi, illegale ma anche legale.

Spesso la soluzione più ovvia, più banale, più semplice è quella più giusta, come diceva il buon vecchio Ockham.
E' troppo banale pensare che anche questa volta dietro tanto interesse nell'iniziare l'ennesimo conflitto armato ci sia un puro e semplice calcolo economico?

D'altronde l'ingresso degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale ha permesso al paese di risollevarsi dopo la crisi del 29. 
Nel 1932 a Wall Street si toccò il picco minimo della crisi e i livelli delle quotazioni tornarono ai livelli precrisi solo nel 1954. Nel mezzo c'è stata la Seconda Guerra Mondiale e quasi 60 milioni di morti.

Ma io e Francesco siamo i soliti pacifisti estremisti...

mercoledì 28 agosto 2013

Il braccio della Siria

Dobbiamo sempre arrivare all'amputazione del braccio. E ovviamente nell'interesse secondario di spaventare qualcun altro a cui invece vorremmo amputare entrambe le gambe, fingendo sempre e comunque di intervenire per salvargli la vita mentre gli unici a guadagnarci (economicamente) dall'operazone di amputamento restiamo noi.

Dal Vietnam all'Afghanistan non é cambiato niente.
Fingiamo di rispettare il diritto internazionale e di credere nell'Onu continuando a far credere a tutti che non esistano mai altre soluzioni oltre a quella della violenza armata, quando invece essa é e resterà sempre la peggiore, la più inutile e dannosa negli interessi di chi vuole davvero la pace.

martedì 27 agosto 2013

Giornale cartaceo, piacere perduto

Ho perso il piacere di leggere i quotidiani cartacei. E credo di aver capito perché.
Ho sempre amato leggere il giornale, soprattutto in vacanza quando ho il tempo di sfogliarlo con calma e di leggere anche gli editoriali e gli approfondimenti culturali.
In montagna, poi, sempre stato un must. Finalmente ho il tempo di seguire con calma tutte le sfaccettature della politica interna ed internazionale e perdermi in mille riflessioni e ragionamenti.
Un puro piacere per le meningi.

Durante l'anno faccio fatica. I quotidiani locali non mi dicono più niente da un pezzo ( e mi dispiace per tutti gli amici che ci scrivono, so che non è colpa loro). Li sfoglio velocemente senza trovare mai più di un articoletto interessante per volta. E quindi mi secca spendere 1,20 euro al giorno per non leggere nulla. Dovrei leggere almeno un paio di quotidiani nazionali al giorno, anche per il lavoro che faccio ma, lo ammetto, non lo faccio quasi mai. E non perché non mi interessino le notizie, anzi. Ma non mi interessa più il modo in cui sono raccontate.
Trovo piuttosto altri canali, altri strumenti che mi consentono di scegliere, di andare a fondo, di cercare collegamenti, di verificare, di condividere.

Me ne sono resa conto definitivamente proprio durante questo mese trascorso in montagna, in vacanza. Mi sono concessa di leggere i quotidiani ogni giorno, spinta più che altro dall'immancabile reportage estivo di Rumiz su Repubblica. Ma nonostante in questo mese le pagine fossero zeppe di notizie sulla sentenza Mediaset ( e quindi di mio grande interesse) oltre che di crisi in medioriente ( altro argomento che seguo da tempo), niente. Nessuno stimolo.
Una linea piatta.

Mancavano molti argomenti che solitamente seguo in vari siti e blog in rete, come ad esempio le questioni ambientali, le nuove tecnologie, il lavoro, il terzo mondo, il sociale... Sostanzialmente non c'era nulla di più di quanto solitamente leggo in rete, su Twitter, o sulle pagine di informazione che seguo su Facebook o di quanto i miei amici di Rainews24 mi ripetano tutto il giorno.
Tenendo la tv, quando è accesa, costantemente sul canale 48 a colazione, pranzo e cena qualsiasi cosa ci sia scritta sul giornale del giorno dopo risulta per forza di cose fondamentalmente vecchia, superata.

Sul giornale cartaceo mi è mancata soprattutto una cosa, quella che credo sia determinante se non altro per il mio personale abbandono definitivo della carta stampata: mancava la possibilità di condividere le informazioni, cioè quel pulsante "condividi" che si trova in fondo ad ogni notizia sul web e che mi permette di girare alcune notizie a determinate persone che so poter essere interessate o di condividerle, appunto, sui social.
La carta stampata non è social, non è informazione in tempo reale, ma al contempo non è nemmeno abbastanza "approfondimento" come invece forse dovrebbe essere per distinguersi dall'informazione digitale. Ecco perché è destinata all'estinzione.

Ho invano cercato sul giornale degli approfondimenti, delle sintesi e degli schemi che mi permettessero di capire meglio quanto sta accadendo in Egitto o in Siria. Mi sono ritrovata su wikipedia per rispondere alle domande che scaturivano dalla mia lettura.
E purtroppo non c'è piacere nell'odore della carta da giornale o nello stringere in mano tutti quei fogli svolazzanti che giustifichi la scelta per il cartaceo.

Lo so, sono cose che gli esperti di comunicazione dicono da anni, e io stessa l'ho sempre detto, anche se in parte ho sempre conservato il fascino per la lettura del quotidiano cartaceo, almeno in vacanza, almeno in montagna, almeno ad Agosto.

Ahimè un piacere perduto, credo per sempre.


mercoledì 24 luglio 2013

L'incoscienza dei grandi passi

Sposarsi, mettere al mondo un figlio o firmare un contratto di mutuo sono cose che non si possono fare stando troppo a ragionare. 
Voglio dire, chi si sposerebbe mai se razionalmente si mettesse lì a pensare ai rischi, alle complicazioni, ai sacrifici e ai mille problemi che possono sorgere? E chi mai metterebbe al mondo un figlio considerando il peso della responsabilità, l'impegno educativo e le ansie che per tutta la vita ti accompagneranno?
Quando poi una persona sana di mente firmerebbe mai un contratto di mutuo impegnandosi per tanti anni per pagare praticamente il doppio dei soldi che ti prestano, con tutti quei vincoli e rischi? 

I grandi passi vanno fatti con un briciolo di incoscienza o semplicemente fidandosi ciecamente della Provvidenza. 

lunedì 8 luglio 2013

Chi si nasconde dietro la monetina

Chi passeggia insieme a me si potrà stupire della mia freddezza nei confronti dei tanti mendicanti che si incontrano per la strada. Non mi vedrà mai aprire la borsa per cercare qualche monetina, nè tantomeno offrire l'elemosina.
Stringe il cuore passare oltre, ma a me sinceramente stringe più il cuore che quel mendicante sia lì. E so benissimo che con la mia elemosina non farei che perpetuare la sua presenza sulla strada.

Ad una prima superficiale impressione il mio può sembrare un gesto di indifferenza e insensibilità, poco in linea con quei principi cristiani che mi contraddistinguono. E invece è proprio il contrario.
Perchè non è questa l'elemosina che corrisponde al Vangelo, ma solo un gesto egoistico che fa mettere a posto la coscienza e che non aiuta affatto il mendicante ad uscire dalla sua povertà, anzi.

Mi sono stupita anche io le prime volte che i missionari e i tanti volontari impegnati in prima fila con gli ultimi, sia in paesi lontani che qui a casa nostra, mi hanno insegnato il vero rovescio della medaglia dell'elemosina.
"Se vuoi far davvero del male a un povero - mi hanno sempre detto tutti - fagli l'elemosina. Lo aiuterai a vivere un giorno di più in quella condizione e non gli permetterei di trovare una strada alternativa".
Ovviamente non finisce qui. Il gesto di non fare l'elemosina deve essere seguito dall'impegno a sostenere piuttosto le tante realtà di autentica assistenza che sanno gestire nel modo migliore gli aiuti nell'ottica di  sostenere le persone davvero bisognose e non solo dal punto di vista economico.

Mi dispiace quindi riscontrare lo stupore e lo sdegno che in questi giorni sta suscitando la notizia che al Duomo di Mestre ci sia un servizio di sorveglianza che mira ad allontanare i mendicanti che in modo sempre più aggressivo e violento interferiscono con le celebrazioni. Roba da andare su tutti i giornali.
Non corrisponde, a prima vista, a quell'immagine di Chiesa indiscriminatamente accogliente e vicina agli ultimi che tanto va di moda ora che Papa Francesco sta calcando la mano (giustamente) in quella direzione.
Eppure  in realtà tutti coloro che si occupano davvero di carità cristiana e di ultimi sanno benissimo ( e dovrebbero dirlo a gran voce) che per aiutare chi è bisognoso bisogna lottare per difendere il suo posto di privilegio contro l'aggressività dei furbi e dei disonesti. E' brutto, lo so, ma anche tra i poveri ci sono gli onesti e i disonesti, e non si fa del bene agli ultimi nè con il razzismo nè con il buonismo indiscriminato.

Se solo smettessimo di dare l'elemosina ai mendicanti ci sentiremmo un po' meno in pace con noi stessi e giustamente inquieti di fronte alla povertà. E forse eviteremmo di contribuire al perpetuarsi dello sfruttamento dei mendicanti costringendo chi davvero ha bisogno a rivolgersi ai centri di carità, che sono sempre gestiti dalla quella stessa Chiesa apparentemente severa che rifiuta l'elemosina sul sagrato.

Le cose, certo, sono sempre molto più complicate di come si sintetizzano. Sarebbe da riflettere a monte su tutti i meccanismi che causano la povertà e si può star certi che tutti coloro che sono abituati a dare la propria elemosina finirebbero con lo scoprirsi terribilmente complici del sistema che la causa.
Non ci nascondiamo dietro a un dito o dietro una monetina.

lunedì 1 luglio 2013

un istante eterno

Un istante ed è tutto. Bellissimo, sconvolgente, nuovo, sottosopra, emozionante, destabilizzante, meraviglioso.
Un attimo prima in cima ai miei pensieri c'erano mille preoccupazioni, la casa, il mutuo, il lavoro, la dieta, i piccoli-grandi problemi quotidiani, le piccole-grandi difficoltà di sempre. E poi nel giro di 3 minuti l'universo si capovolge.
Un attimo prima stavo per andare al lavoro, stavo per iniziare una nuova settimana di impegni e di corse, e tre minuti dopo ho iniziato una nuova vita.
Un attimo prima ero una ragazza, tre minuti dopo una donna.
Un attimo prima ero io, eravamo due, tre minuti dopo e siamo già tre. Lo eravamo già ma non lo sapevo.
All'improvviso tutto assume nuovi colori, nuovi sapori, nuove forme. Nulla ha più importanza di quei pochi millimetri di gioia. E tutto ha significato perchè mi ha portato esattamente qui.
Ogni sconfitta, ogni rinuncia, ogni errore, ogni successo e ogni battaglia mi hanno condotto esattamente qui, in questa casa, con questo bastoncino in mano. Non aveva senso nient'altro che questo e d'ora in poi tutto assumerà un senso nuovo alla luce di questo istante di pura gioia.

Non esiste applauso, non esiste assegno, non esiste nulla che valga più di quell'istante.
Un istante eterno.

giovedì 18 aprile 2013

Chi sopravvive al cambiamento

Siamo fondamentalmente pigri. Non è che non ci piacciano le novità, è solo che si teme di fare troppa fatica a cambiare un'abitudine, un modo di pensare o semplicemente a fare diversamente da come si è sempre fatto. E ovviamente man mano che passano gli anni ci affezioniamo sempre di più alla nostra routine che ogni piccolo cambiamento diventa traumatico.
Eppure, per quanto ci si possa accomodare sulle proprie posizioni di sempre, risulta enormemente più faticoso stare fermi se tutto ciò che ci circonda cambia a velocità incommensurabile.
Le cose semplicemente cambiano, la tecnologia ci apre scenari impensabili nel giro di pochissimi anni, e cambiano, si rivoluzionano le regole del gioco, le possibilità, le opportunità. Gli anni passano e così anche noi cambiamo, cresciamo, possiamo cambiare alcune idee, altre mantenerle salde, ma inevitabilmente ci evolviamo ogni istante, senza nemmeno accorgerci.
Per questo restare fermi immobili di fronte al cambiamento richiede il doppio dell'energia, uno sforzo immotivato e uno spreco di risorse folle.
Non ci si può opporre al progresso, nemmeno quando esso assume dei toni negativi e controproducenti. L'unica cosa che si può fare è accompagnare il cambiamento per farne parte, per diventare protagonista, per poterlo gestire meglio e, dove possibile, controllare.
Questo vale ad esempio nel rapporto con la tecnologia, con il pc, gli smartphone, i social network, ma vale anche nell'ambito dell'organizzazione del lavoro, vale nella politica, vale nelle relazioni interpersonali, vale nel rapporto uomo-donna...
Chi si ferma a voler fare le cose come si sono sempre fatte è destinato all'estinzione.
Come diceva Darwin, a sopravvivere è sempre la specie che più si adatta al cambiamento.





giovedì 11 aprile 2013

Non preoccupatevi

Non preoccupatevi. Le parole del Vangelo scelto il giorno del nostro matrimonio (Mt 6, 24-34) riecheggiano sempre più spesso. E sempre più spesso le metto in pratica.
E' un po' come in palestra, quando ci si allena a "non preoccuparsi" diventa sempre più facile.
Affidarsi alla "Provvidenza", avere fede è la stessa cosa.
Sono tempi di incertezza assoluta per il futuro, come si fa a non essere preoccupati per ogni decisione, ogni passo, ogni scelta? Come si fa a non essere preoccupati di fronte alla minaccia di nuove guerre, di fronte alla crisi economica e politica del nostro paese, di fronte ai tanti episodi di violenza e disperazione che invadono le pagine dei giornali?
Io sarei una persona ansiosa di mio, per questo preferisco avere tutto sotto controllo, tutto programmato, tutto pianificato. Ma quali progetti si possono fare in una situazione tanto precaria? Economia, politica, lavoro, salute...
Nulla è veramente sotto controllo.
Quindi? Quindi c'è ben poco di cui pre-occuparsi perchè tutto è incerto, tutto è instabile.
E a volte l'instabilità è proprio la condizione migliore per le imprese più coraggiose.
I disequilibri sanno disegnare forme nuove e bellissime, impensabili, impossibili da pianificare e programmare. Troppo belle per diventare preoccupazioni.
Il coraggio di camminare ad occhi chiusi a volte è proprio quello che ti porta fuori dal buio.

lunedì 1 aprile 2013

40 giorni senza Facebook

E' stata dura. Praticamente impossibile. Ma molto interessante.
40 giorni senza Facebook. Il mio deserto.
Volevo fare un digiuno simbolico da qualcosa che occupa molto tempo nella mia vita per restituire quel tempo alla preghiera, alla riflessione, al silenzio in un momento della mia vita in cui ne ho molto bisogno.
Così ho pensato a Facebook. In fondo è lo strumento che ha sostituito buona parte della mia informazione, della mia distrazione, della mia comunicazione con il resto del mondo. E' uno strumento di lavoro, di public relations, il luogo di incontro e scambio di opinioni, uno spazio di condivisione divenuto nel tempo imprescindibile per mantenere i rapporti di amicizia con persone che non ho l'opportunità di frequentare quotidianamente.

Uno strumento che ho sempre considerato neutro, reso piacevole o stupido a seconda della testa della persona che lo gestisce, utile o dannoso, a seconda delle finalità, un modo per perdere tempo o per riempire spazi vuoti, a seconda dei punti di vista.
Sta di fatto che qualsiasi sia la mia personale valutazione su Facebook io l'ho usato parecchio e da diversi anni, sia per scopi personali che professionali. Alcuni amici di cui ho molta stima si ostinano a non volerne far parte e io mi sono sempre tanto ostinata a convincerli del contrario. Sarà un'occasione buona anche per poter dialogare meglio con loro.

Non ero sicura fosse una buona idea uscirne, seppur per un periodo limitato, dato il livello di immersione che il mio lavoro e la mia vita ha ormai raggiunto, ma ci ho provato.
Se è uno strumento che sono io a guidare - mi sono detta- posso farlo senza alcun problema. Che sarà mai.
Anzi, la sua assenza mi permetterà di osservare meglio alcuni suoi pregi e alcuni suoi difetti.


E cosi ho fatto. Dal mercoledi delle ceneri ho smesso di cliccare sull'icona blu.
Il primo giorno tutto bene. Mi sono installata sull'Ipad una bellissima app di preghiere che sia chiama "Laudate" con le letture del giorno. Lungo i momenti vuoti in treno mi sono dedicata ad esaminare la mia anima riempiendo pagine del mio nuovo diario.
Erano anni che non pensavo e non scrivevo tanto. Una boccata d'aria buona. Il tempo che si dilata. Il brusio che si affievolisce sullo sfondo. E i pensieri e le complicazioni che trovano nuove strade per essere districati, con le parole.

DIPENDENZA. Non mi ero mai resa conto di quanto fossi legata a quel pulsante blu, sull'ipad, sul cellulare, sul pc.. Quasi un automatismo istintivo, troppo poco controllato. E questo non va bene. Ad avere il controllo dello strumento devo essere io, non viceversa.

I RAPPORTI UMANI SU FB. Ed ecco subito dopo il primo giorno i primi problemi dovuti al fatto che Facebook è diventato un veroe proprio strumento di comunicazione e relazione con le persone. L'icona blu sul mio Ipad continua a riempirsi di notifiche rosse e il numero cresce spaventosamente, 40, 80, 120, 180....Poi arrivano le notifiche sul Blackberry e le notifiche dei messaggi di FB, come un continuo richiamo, un'ossessione. Qualcuno mi stava scrivendo ma non sapevo chi, non sapevo se era importante. Cerco di resistere e mi dico che in fondo se è qualcosa di importante mi chiameranno. Ma mi sbagliavo. Le persone danno per scontato che tu una volta dentro Facebook lo controlli sempre.

IL LAVORO SU FB. Il secondo giorno il lavoro mi costringe a uno strappo. Sono costretta a caricare delle foto su una pagina che seguo per un cliente. E come faccio? Mica posso dire di no? Il lavoro è lavoro. Mi limito a quella pagina, non guardo le notifiche, non guardo i messaggi.
Ma un appuntamento con un amico mi costringe a un nuovo strappo. Di solito mi scrive su Fb e con l'appuntamento già accordato potrebbe avermi comunicato qualcosa ... Cedo. Infatti trovo il suo messaggio. E meno male che lo leggo altrimenti avremmo dovuto pagare l'affitto della sala prove non avendo disdetto la prenotazione.
Riflessione n.1: Si può benissimo fare a meno di Fb ma una volta che ci entri e che lo usi frequentemente per gestire i tuoi contatti diventa difficile isolarsi, non senza fare un po' di danni inizialmente.

I GRUPPI DI FB. Trascorrono un po' di giorni e si pone un altro problema: i gruppi. Faccio parte di alcuni gruppi su Fb relativi ad alcuni progetti che sto seguendo. Il gruppo su FB è lo strumento di comunicazione principe di questi gruppi, che uniscono persone lontane, che in alcuni casi si conoscono solo via web e che non hanno altro modo di dialogare.
Riflessione n. 2: Se fai parte di un gruppo FB non puoi fare a meno di leggere cosa viene scritto o rischi di perderti comunicazioni importanti.

LE ELEZIONI SU FB. E poi le elezioni. Tutti si scatenano di commenti, analisi, previsioni. E io che sono appassionata di politica e che per me le elezioni sono uno spassosissimo tuffo cerebrale e dialogo sui massimi sistemi della politica nazionale, mi sentivo come imbavagliata. Arresa. E' un momento troppo importante per il paese, non posso non seguire da vicino gli sviluppi. Decido di leggere ma senza parlare. Nella mia bacheca ci sono gli status di tante pagine informative, testate giornalistiche, politici, opinionisti, oltre a quelli degli amici. Stare senza quel flusso di informazioni in un momento del genere è impensabile. Sono pur sempre una giornalista politologa, nel mio piccolo. E che cavolo! Così leggo, leggo, sfoglio, mi tappo la bocca. Impreco in silenzio. Una fatica!!!
Alcuni amici si preoccupano della mia assenza su Fb, che ridere. "Ma la Francesca Bellemo non commenta?" scrivono increduli.

IL NUOVO PAPA. Poi arriva Papa Francesco. E non resisto più, devo dire qualcosa, devo condividere un pensiero, non riesco a farne a meno e rifletto su questa cosa. Cosa mi spinge a cercare uno strumento per amplificare pubblicamente i miei pensieri? Chi dovrebbe essere interessato? Perché mi fa sentire meglio scrivere i miei pensieri in uno spazio pubblico? Un'ulteriore occasione di riflessione.
Cosi non scrivo nulla su Fb ma sul mio blog si, sbircio i commenti su twitter, condivido qualche post su twitter. Impossibile resistere alla testimonianza.
Riflessione n. 3: Fb è uno strumento di informazione e divulgazione di informazioni, se questo è l'utilizzo che uno ne fa perchè condannarlo? E' solo una fonte in più e anzi, può diventare un luogo in cui tu stesso diventi la fonte di alcune informazioni, tanto più se si tratta di testimonianze di vita e di fede.

LA VITA PRIVATA. Infine la sfida più grande. La mia vita privata. In questi 40 giorni sono successe tantissime cose che avrei potuto comunicare su FB, come ho sempre fatto. Molte cose importanti, belle, che ho fatto fatica a tacere. Avrei avuto voglia di dire tante cose, di raccontare, di condividere, tante emozioni, opinioni, fatti, battute e pensieri.
Credo nello strumento di condivisione Facebook, esattamente come il blog, non per esibizionismo o voyerismo. Usato con intelligenza Fb è un buon strumento per relazionarsi con le persone al di là dell'incontro personale, è un buon strumento per condividere dei pensieri, delle riflessioni. E' -dal mio punto di vista - pure un buon strumento di testimonianza cristiana.

Non mi sottrarrò al mio dovere, so che molte persone guardano al mio comportamento come a un test per le mie parole e condividere su Fb alcune scelte di vita, alcuni pensieri ed opinioni lo intendo come una testimonianza, una vocazione.
Allo stesso tempo ho riflettuto sul contenuto di questa comunicazione: quante cose posso dire nell'ottica di testimonianza, quante altre invece sono puro e semplice esibizionismo?
Riflessione n. 4: Mi sono convinta che ogni gesto, piccolo o importante che sia, comunicato su Fb può diventare testimonianza a patto però di essere calibrato con umiltà.

FB E LA SOLITUDINE. Io spero di riuscire a trasmettere questa intenzione insieme alla voglia di condividere per il piacere del dialogo e del confronto, per il piacere dell'amicizia, per sfuggire alla solitudine.
Si, solitudine. Ci ho pensato molto su in questo periodo e sono arrivata alla conclusione che in fondo Fb ci consente di sentirci meno soli.
Viviamo una vita ingabbiata di lavoro e di obblighi, di pesanti e insensati sprechi di tempo nella solitudine.
Io trascorro ad esempio più di 12 ore fuori casa, per lo più da sola davanti a un monitor, trascorro più tempo con i miei colleghi che con la mia famiglia, mi siedo più spesso a tavola con sconosciuti alla mensa che con mio marito a casa. E parlo più frequentemente con i miei clienti che con la mia stessa famiglia. Non è una follia? Si, lo è. Ma non si può sfuggire se non attraverso quella finestrella blu che nelle pause e nei momenti vuoti ti riporta vicino a chi ti interessa di più, alle persone con cui hai più argomenti in comune, anche semplicemente per sbirciare curiosamente nella loro vita. Si dice che su Facebook si diventa tutti dei guardoni, è vero, ma io penso che in fondo essere dei guardoni da una finestra volontariamente spalancata non sia poi un crimine e che un po' di curiosità sulle persone sia sempre meglio del disinteresse...

CONCLUSIONI. Le mie conclusioni non possono quindi che essere di rivalutare positivamente Facebook li dove esso è un semplice strumento di comunicazione con le persone, uno strumento che si somma ad altri, che sopperisce agli altri quando gli altri non sono disponibili. Per cui viva FB, viva quella piccola finestra blu sul mondo che mi permette di illuminare a sprazzi delle lunghe giornate di solitudine. Viva gli amici di Fb che magari non sono tutti i miei migliori amici, ma mi fanno compagnia con le loro battute, le loro opinioni, le stupidaggini e le riflessioni serie.
Il tempo che trascorro su Fb non è tempo sottratto alle vere amicizie, che sono coltivate a parte, indipendentemente da Fb. Il tempo che trascorro su Fb è semplicemente un tempo che sottraggo alla solitudine. E considerando che sono una che tutto sommato ama la solitudine, non è poi così tanto.
Quindi viva Fb quando è strumento che riempie vuoti non quando li crea. Viva Fb quando è megafono di testimonianza, di condivisione virtuale di una vita ricca e intensa di realtà. Viva Fb quando avvicina i lontani non quando allontana i vicini. Viva Fb e viva la rete quando è sinonimo di andare in profondità e non di galleggiare, quando permette di inabissarsi nella vita senza annegare.
Viva l'apertura al prossimo, viva il coraggio delle proprie idee, viva il non aver nulla da nascondere e l'aver tanto da imparare.
Viva un po' di spensieratezza, viva un po' di sano pettegolezzo, meglio l'interesse un po' voyeristico che l'ignorarsi civile.
Viva la tecnologia quando è a servizio dell'uomo e non viceversa.




giovedì 28 marzo 2013

L'ultima fila

Mi è sempre piaciuta molto quella parabola in cui Gesù insegna a mettersi all'ultimo posto (Luca 18,9-14).
Per quanto mi ritrovi spesso a dare l'impressione contraria non sono mai stata una che ama le prime file.

Quando ero piccola me la cavavo discretamente nel disegno. Non ero affatto un genio della pittura, semplicemente trascorrevo molto tempo a disegnare a casa, mi piaceva, mia mamma disegnava insieme a me. Lei avrebbe sempre sognato di studiare arte ma a 14 anni ha dovuto andare a lavorare. Le è rimasta la passione e fin da piccola me l'ha trasmessa.
Così capitava che quando si disegnava a scuola i miei disegni fossero un po' più ben fatti della media dei miei compagni. Niente di che, ma quanto basta per vincere i concorsi di disegno e scatenare l'invidia degli altri bambini che mi accusavano di venir premiata solo perchè ero la figlia del maestro.
Questa cosa andò avanti per tutte le elementari, ogni anno, ogni concorso di disegno, ogni premio. E c'era in me più la sofferenza per l'odio dei compagni che la gioia della vittoria.

Credo che fu allora che inconsciamente decisi di essere una mediocre.
A scuola mi sono sempre impegnata ma mai al massimo. Idem nello sport, nell'arte, forse anche nel lavoro.
A stare in prima fila si finisce col trovarsi da soli, bersaglio dell'invidia e dell'odio delle persone. Mi sono detta allora: "meglio sedersi in un angolino, essere umili. Aspettare che siano gli altri a riconoscere in te un talento". 
Esattamente come il pubblicano della parabola, umiliarsi per primi piuttosto che essere umiliato poi. Mettersi nell'ultima fila ed essere semmai richiamati ad occupare il primo posto.

La verità è che ho fatto pure questo, letteralmente. Ma non è servito ad evitarmi le invidie.
Perchè puntualmente capitavo in prima fila ad alimentare il mio ego malcelato.
Allora la mia regola è diventata " per ogni talento una misura doppia di umiltà".

Ma forse sbaglio ancora. Forse è solo e semplicemente paura.
Forse è solo una vile consolazione pensare che se solo avessi voluto avrei potuto essere un talento della musica, della danza, del giornalismo o della politica. E che se non lo sono è solo perchè io non l'ho voluto e non perchè in realtà sono davvero una persona mediocre.

lunedì 25 marzo 2013

La felicità è armonica

Le cose buone sono armoniche, sono equilibrio, sono pace, sono belle come il canone della bellezza greca.
Le cose buone donano gioia diffusa, calzano a pennello, sono giuste, sono ordinate.
Ogni giorno che passa confermo la mia concezione di felicità come un fluire tranquillo e sereno più che come una fugace fiammata di emozioni forti.
Per giudicare una situazione mi oriento proprio osservando quanto equilibrio mi trasmette e solo se mi prospetta una calma pacatezza di emozioni semplici mi convinco che sia giusta per me.
Non mi interessano i lampi di felicità nel buio, a me piace la luce del sole calda sulla pelle.
La felicità è armonia, è grazia, è pace profonda.

venerdì 22 marzo 2013

Studi cinesi

Un libro tira l'altro. Ho appena finito l'Ombra di Mao di Federico Rampini dopo Cigni selvatici di Jung Chan e Storia della Cina di Schmidt-Glintzer, ed ho già ho appuntato un paio di altri libri sull'argomento Cina che vorrei comprarmi per approfondire ancora di più nonostante il mio comodino sia perennemente ricoperto di nuovi amici in coda.
Storia della Cina contemporanea: potrebbe essere il nome dell'esame che sto preparando. 
Il bello è che nessuno mi interrogherà mai.

Ho deciso di mia spontanea volontà di mettermi a studiare un po' un mondo che non conosco minimamente, la Cina, con il quale a livello di politiche internazionali non possiamo non fare i conti. Com'era l'Impero, il concetto di civiltà cinese, di Tianxia, che ricorda da lontano la koinè greca, e poi le vicende che hanno condotto fino alla rivoluzione maoista, dal sogno comunista alla sua follia che ha causato lo sterminio per fame di centinaia di milioni di contadini con la politica del Gran Balzo in avanti, la rivoluzione culturale e tutti i retaggi che ancor oggi sono presenti nell'attuale società cinese, volto deformato del capitalismo. 
Comunismo, capitalismo, povertà, democrazia. Finisco sempre per girare intorno a questi concetti.
E quello che leggo non mi fa mai sentire pienamente in possesso della conoscenza ma piuttosto stimola in me nuove ricerche, nuove domande in un circolo vizioso di insaziabile curiosità. 
Tutta colpa di Tiziano che dalla Russia mi ha condotto in Oriente con i suoi viaggi.
È questo é il mio modo di viaggiare, è il massimo che posso permettermi e va bene lo stesso. 
I libri mi conducono lontano dove avrei voluto vivere una vita diversa, al servizio della verità, delle parole, degli ultimi. 
Ma la mia strada è un'altra. L'ho scelta io e non la rinnego. 
Mi bastano i miei libri, miei compagni di viaggio. Mi basta la lettura, lo studio.

Che meraviglia lo studio, soprattutto quando è assolutamente volontario e libero. Nessun esame, niente da dimostrare a nessuno.
Leggo e studio solo per il piacere di farlo. Nutrimento essenziale per il mio cervello e la mia anima. 
Solo a loro devo rispondere. Solo loro mi possono interrogare. 



mercoledì 20 marzo 2013

Ma petite lumière

Il mio esperimento di digiuno da Facebook sta proseguendo a gonfie vele, ma non senza strappi alla regola.
Lascio le mie considerazioni complessive alla fine della quaresima, in un post che sto preparando.
Ma nel frattempo un'anticipazione.
Ho deciso di digiunare da Facebook simbolicamente per il periodo della Quaresima, per poter dedicare più tempo alla preghiera e all'introspezione.
È proprio questa introspezione che mi sta portando ad una considerazione: Facebook è solo uno strumento, ma uno strumento privilegiato di condivisione, dialogo e testimonianza dal quale non posso prescindere.

Proprio come cristiana la mia testimonianza è un dovere.
Una testimonianza di fede che si esprime nelle scelte di vita, nei piccoli gesti quotidiani, nei pensieri, nelle idee e nelle proposte. Quale strumento migliore dei social network e dei blog per la testimonianza oggi?

Le esperienze meravigliose che ho potuto vivere fino ad oggi, dalla parrocchia al volontariato ai viaggi umanitari hanno rafforzato in me una fede sincera, che voglio difendere a tutti i costi. Una piccola fiammella da tenere accesa proprio attraverso la condivisione, come diceva quella vecchia canzone in francese "ma petite lumière je veux que brille..."

Le persone che sono state per me e che sono tutt'ora testimoni di fede vissuta sono persone vere, normali, che hanno testimoniato il loro credo con dei gesti concreti di coerenza al Vangelo e insieme con la professione che la fonte delle loro azioni risiede proprio in quel Vangelo, in Gesù.
Parole e opere, insomma, non possono essere distinte.

E se per le opere cerco di fare del mio meglio, ogni giorno, con tutti i miei limiti e le mie debolezze, per le parole non posso proprio sottrarmi, dato che sono il mio pane quotidiano, il mio lavoro, la mia passione.

Non ho la pretesa di essere una voce autorevole, figuriamoci. Ne tantomeno di saper sempre dire la cosa giusta. Ma ai testimoni non è richiesto questo. Questo è quello che pensano di essere e di dover fare le persone famose o potenti.
Io non ho questa ambizione, ma riconosco di avere la responsabilità della testimonianza. Qualcuno me l'ha detto, e anche se non vorrei so che vengo osservata proprio come un esempio, come un punto di riferimento.

Non vorrei avere la responsabilità di essere un modello, mi sentirei molto piú libera di sbagliare e di essere me stessa senza sapere di avere in qualche modo gli occhi puntati su di me nell'attesa del mio passo falso. Ma essere cristiani significa anche questo, la fede è un dono grande che implica questa responsabilità di fronte al prossimo. Non per affermare quanto si è bravi e quanto si è buoni ma per dimostrare semplicemente che la fonte di ogni nostro talento, di ogni nostro merito e di ogni nostro successo è in Dio, che la fede è una forza in più, che è motivo di grande gioia e pace.

Quindi ecco che per me questa sosta, questo deserto, non é la rincorsa prima di un salto di qualità nella mia comunicazione, che voglio e devo fare con un'ottica di condivisione sincera e mai presuntuosa, di testimonianza e di semplice apertura al mondo.

Che poi, lo devo ammettere, comunicare, condividere, testimoniare è una gioia grande, sprona ad avere uno sguardo sul mondo e sul prossimo, anche se spesso può essere frainteso come puro esibizionismo.
Cercherò di fare del mio meglio e di fuggire il più possibile la tentazione di parlare di me per spendere il mio tempo a condividere con gli altri.

Sono un'anima in pena, non riesco a tacere, non riesco ad isolarmi, non riesco a non condividere, non riesco a non testimoniare che tutto quello che ho é un dono grande, ogni istante, ogni post, ogni status, ogni tweet.

La grandezza di Ratzinger

Più passano i giorni, più il mondo acclama all'umiltà e alla novità di Papa Francesco e più si definisce la grandezza della scelta di Joseph Ratzinger.
Non ho avuto inizialmente grande simpatia istintiva per Papa Benedetto, come molti. Lo conoscevo già, prima che diventasse Papa, e in particolare mi ero impuntata su alcune sue affermazioni relative alla liturgia accompagnata da musica e strumenti moderni. Avendo per anni animato la messa con canti gioiosi e chitarre e cembali e battiti di mani la sua linea più tradizionale mi infastidiva. Tutto qua.
Poi però ho cercato di superare la mia superficiale diffidenza leggendo alcuni testi scritti da lui e scoprendo un finissimo pensatore dalla fede profonda e bella, molto diverso da quel Papa anziano e tradizionalista che i media (e i comici) dipingevano con sempre più aggressività.
Dopo il lungo e impattante pontificato di Woytjla sarebbe stata dura per chiunque. Ma per lui forse lo è stato ancora di più affermare un'immagine positiva in un contesto di continui scandali e sfide che hanno coinvolto la Chiesa.
Proprio per questo la sua scelta di "dimettersi" assume una sfumatura ancora più grandiosa, una grandezza che richiede un'umiltà straordinaria. Umiltà estrema che si tramuta in forza, ed ecco che alla fine risulta davvero vincente proprio nella sua rinuncia.
Ratzinger sapeva benissimo fin dal primo giorno di pontificato che non avrebbe goduto della stessa simpatia popolare di Woytjla, e ha ugualmente vissuto giorno dopo giorno in perenne confronto col predecessore, pur cosciente di essere in perfetta continuità dottrinale.
Ancor più sapeva come sarebbe stato il confronto con il suo successore, eletto proprio da quegli stessi cardinali nominati da lui che non potevano non scegliere un successore più comunicativo.
Provo una grande ammirazione e tenerezza per Ratzinger in questo momento, in cui vive in diretta l'ennesimo confronto in cui agli occhi della massa risulta il perdente, il vecchio, il conservatore e in cui incarna l'immagine di una Chiesa chiusa e lontana dalla gente, invischiata dagli intrighi di palazzo e offuscata dall'ombra degli scandali.
Proprio lui che ha fatto il gesto più umile di tutti, farsi da parte e sopportare di essere superato in consensi dal suo successore.
Ora, ogni volta che si esalta Papa Francesco per la sua informalità e la sua semplicità, la vicinanza agli ultimi, il cambiamento e la capacità di comunicare un'immagine fresca e nuova della Chiesa, bisognerebbe ricordare che tutto questo è avvenuto proprio grazie al grande coraggio di Benedetto XVI.
Grandissimo.

martedì 19 marzo 2013

Il buon consulente di comunicazione di Papa Francesco

Quanto pesi la forma rispetto alla sostanza ce ne accorgiamo in questi giorni che salutiamo la nomina di Papa Francesco come un segno di grande cambiamento. E lo è. E ne sono felice.
Ma penso anche a come sia bastato poco per trasmettere universalmente un'immagine di rinnovamento, di semplicità, di umiltà. Poche parole, pochi gesti e già eravamo persuasi del fatto che questo è il volto della Chiesa che ci piace. Ma ci voleva così tanto?

L'importanza della comunicazione del bene. Sempre così sottovalutata.

Non credo affatto che Ratzinger fosse meno vicino al Vangelo di quanto non sembri esserlo Bergoglio, forse solo non lo comunicava in modo efficace.
Quel bel volto della Chiesa di vicinanza agli ultimi non é una novità: io l'ho sempre visto nel mio piccolo incarnato da tanti, tantissimi cristiani, persone che vivono la loro fede nel quotidiano, nei loro gesti e nelle loro parole ogni giorno e che testimoniano, laici e religiosi, una fede vissuta, bella, limpida, gioiosa, serena.
Forse troppo nascosta. Già, troppo poco comunicata.
Non dovrebbe essere una cosa strana di cui stupirci eccessivamente, dopotutto, che il Papa dica che il potere è servizio o che dobbiamo avere cura del prossimo e del creato. Però vedere la sua foto quand'era vescovo e girava in metropolitana, o in pulmino con gli altri cardinali oppure ancora alla hall dell'albergo a pagare il conto non può che stupire. E far sorridere.

Gran bella tattica di comunicazione, mi verrebbe da dire da addetta ai lavori. Già perchè a volte bastano pochi semplici gesti per trasmettere un'immagine positiva ma ne bastano allo stesso tempo altri pochi per crollare rovinosamente nella classifica dell'appeal superficiale popolare, che è cosa diversa dalla fede, ma serve sempre.

La Chiesa è per sua natura composta da diverse anime e proprio perchè umana è imperfetta, santa e peccatrice al contempo. Perchè non usare quindi un po' di quella sana furbizia che ci suggerisce anche il Vangelo ("puri come colombe e astuti come serpenti" Mt 10,16) e fare del nostro meglio per mettere in luce il volto migliore della Chiesa? Un volto che già c'è in abbondanza nel mondo e che si tratta solo di
far emergere come volto ufficiale?

Perché non puntare, si, su un po' di segni forti, popolari, forse populistici, ma che permetterebbero ( come sta già accadendo) a tanti di limare un po' di pregiudizi?
In fondo è un po' quello che serve anche alla politica: segni. Siamo umani, abbiamo bisogno di simboli, segni, messaggi chiari e semplici.

In questo caso direi che solo parzialmente la forma è sostanza. Ma intanto cominciamo con la forma, che è più urgente, poi andiamo a fondo anche nella concretezza della realtà ecclesiale a renderla, dove non lo sia già, il più possibile coerente con la semplicità e la bellezza del Vangelo.

Papa Francesco sembra sulla buona strada.

Tutto merito dello Spirito Santo, il miglior consulente, ma anche un
po' merito suo per averlo ascoltato ...