giovedì 17 marzo 2011

Finchè soffia il vento di Fukushima

Ho appena pubblicato un libro per raccontare le conseguenze della catastrofe nucleare di Chernobyl, 25 anni dopo, per raccogliere le testimonianze delle tante famiglie italiane impegnate in progetti di solidarietà a favore delle vittime delle radiazioni che continuano ad essere vittime anche e soprattutto dopo 25 anni.

Quando ho iniziato a scriverlo, quasi un anno fa, non sapevo granchè di nucleare, di problemi sanitari o di implicazioni energetiche e politiche prima di divorare qualche decina di libri sull'argomento. Ero partita volutamente senza pregiudizi per potermi creare una mia personale opinione sulla vicenda.
Leggere la cronaca del disastro del 1986, scoprire che la popolazione era stata tenuta all'oscuro di tutto per giorni, analizzare i rischi per la salute sul lungo, lunghissimo periodo è stata per me davvero dura a livello emotivo. Entrare dentro alla tragedia passando per i volti, i ricordi e le paure di chi l'ha vissuta in prima persona è un'esperienza che segna in profondità, che fa venir voglia di urlare, di piangere.

Ma seguirla in diretta sullo schermo di un pc, mentre sei al lavoro e scrivi comunicati stampa su vino ed eventi gastronomici, sbriciando di tanto intando le strisce che scorrono sulla diretta di Rainews... è una cosa straziante.

Sono impotente, muta ma con un sacco di cose da dire.
Leggo con avidità le notizie pregando perchè la situazione non si aggravi ulteriormente, perchè il peggio sia scongiurato, ma so che non è così. Mi sento attraversare dalla disperazione composta del popolo giapponese, come fosse la mia. Mi manca il respiro.

A volte vorrei non aver studiato, non aver saputo, non aver memoria, non avere conoscenza della storia, per non sentire il peso di ogni dramma dell'umanità sulle spalle. Sono fin troppo consapevole di ciò che sta accadendo a Fukushima che mi fa paura svegliarmi al mattino, che mi viene voglia di urlare, di piangere.

Sono arrabbiata, furiosa, perchè troppe persone dimenticano il passato, perchè non si conosce la storia, non si impara nulla dalla storia. Si finisce col fare i soliti stupidi errori di calcolo.

Anche questa volta, come sempre, mentiranno dicendo che non era stato previsto.

mercoledì 16 marzo 2011

Una traversata lunga 14 anni

Abbiamo sempre voluto sposarci. Non serviva chiederlo. Io avevo circa 15 anni, Marco quasi 17 e se vado a sfogliare la vecchia Smemo 1997 trovo già scritto questo sogno.
Probabilmente siamo stati fortunati, probabilmente siamo stati duttili, probabilmente ci abbiamo messo tutto il nostro impegno. Sarà anche poco romantico ma sono sempre stata convinta che il sentimento da solo non porti lontano. E secondo me l’amore è anche volontà, impegno, determinazione. Non solo, ma anche.

E’ un po’ come il nuotatore che attraversa la vasca: all’inizio ha la spinta del tuffo che gli dà energia, che lo va viaggiare veloce, che lo fa quasi volare, poi un po’ alla volta l’inerzia finisce e comincia a farsi sentire l’attrito dell’acqua, che sono le tante difficoltà della vita, le divergenze di opinione, di carattere…. Se il nuotatore non avesse la volontà e la determinazione a giungere alla fine della vasca finirebbe per arrendersi a metà. E invece… se uno si pone degli obiettivi, se uno è disposto anche a fare fatica pur di finire la vasca poi al termine della sfida con l’acqua la sua emozione sarà ancora più grande dell’inizio.

Abbiamo nuotato insieme in molte vasche in questi 14 anni, non senza incontrare correnti contrarie. Ci siamo fatti le spalle robuste a forza di bracciate. E la resistenza. Abbiamo fatto fiato, siamo allenati per una nuova traversata.