lunedì 12 marzo 2012

HoneyUsa: New York. Things to eat or not.


29 luglio 2011. New York. Things to eat or not.

Muffin, hot dog, hamburger, pollo fritto. Marco sta approcciando gli States attraverso un suo personale tour gastronomico che comincia agli angoli delle strade dove ci sono i baracchini con i pakistani che vendono hot dog fumanti e che finisce dentro i fast food di Manhattan.

Per me, che ho letto "Se niente importa" di J. S. Foer e non sazia ho completato l'opera con "Ecocidio" di Jeremy Rifkin, l'unica cosa commestibile finora in questo paese resta il pane. Anche se - intendiamoci- si tratta di sicuro di pane stracolmo di conservanti e grassi idrogenati.
Per fortuna qui sotto l'appartamento c'è un piccolo supermercato, fornitissimo di bibite dai colori fluorescenti grandi 5 litri. Gironzolo nelle corsie e leggo le etichette dei prodotti. La faccia schifata.
Trovo un vassoio di plastica con frutta a pezzi. 12 dollari. Tutto costa tanto. Tutto sembra plastica.
Ho comprato un po' di carote. Ma sanno di plastica.

Marco si inciucca di Big Mac, io di Caesar Salad al Mc Donald. Miodio, proprio io. La disperazione.
Patatine fritte con ketchup. Sono solo tre giorni che mangiamo qui e mi sembra già un'eternità. Sento il bisogno fisico di  qualcosa di integrale, di sano. Di non unto, di non fritto.
Sono sicura che basterebbe solo sapere dove andare e si troverebbero migliaia di ristorantini etnici, caratteristici, magari anche italiani. Ma non ho fatto in tempo a studiarmi le guide gastronomiche di NY. E comunque so già che saremmo ugualmente schizzinosi.
Italiani viaggiatori del cavolo. Pochi giorni lontano dalla salsa di pomodoro e scatta la crisi d'astinenza.
Posso amare follemente l'incontro con altre culture e civiltà. Ma non posso sopravvivere senza la salsa di pomodoro.
Che poi, strano a pensarlo, ma il pomodoro è stato importato in Europa proprio dall'America, dove la coltivazione della pianta del pomodoro era diffusa già in epoca precolombiana in Messico e Perù.

Sarà che amo le cose genuine, originarie. Avverto la necessità delle cose vere. Soprattutto qui in America, dove sembra che invece sia tutto finto, esattamente come il cibo che ci finisce nel piatto.

Se vuoi leggere l'intero diario di viaggio clicca qui