sabato 2 giugno 2012

HoneyUSA, Los Angeles: Walk of Fame, luccicare sul marciapiede


1 agosto 2011, Los Angeles - Walk of Fame, luccicare sul marciapiede


Non poteva esserci la mia Ella nella "Rock Walk of Fame" perchè la sua stella si trova sul marciapiede lindo della Walk of Fame, quella "storica" via, nel quartiere di Hollywood, famosa per i marciapiedi lucidi ricoperti per tutta la lunghezza del viale affollato di stelle con il nome sopra. Dicono che li puliscano 6 volte al giorno.
E' questa la strada dove si trova il Kodak Theatre, dove scorrazzano le stelle di Hollywood per la consegna degli Oscar ed è pieno di turisti e di negozietti da turisti.
Ci arriviamo dopo aver parcheggiato comodamente in una viuzza laterale. La sensazione è quella di essere in via Bafile a Jesolo, solo che a Jesolo in via Bafile è molto più difficile trovare parcheggio.
Leggere tutti i nomi sulle stelle è impossibile: sono tantissimi. E poi c'è un sacco di gente che non conosciamo. Su alcune, specie quelle più lontane dal centro della via, c'è solo la stella con il nome e il simbolo di una cinepresa o un grammofono, una tv, un microfono o due maschere teatrali a seconda dell'arte in cui si è distinto il personaggio.
L'idea di dedicare una strada alle celebrità  fu della Camera di Commercio di Hollywood e risale al 1950 ma la costruzione non iniziò fino al 1958 e la prosa delle prime 8 stelle ( Joanne Woodward, Olive Borden, Ronald Colman, Louise Fazenda, Preston Foster, Burt Lancaster, Edward Sedgwick, e Ernest Torrence) fu solo nel 1960. Lucidate, valorizzate e aumentate negli anni, sono oggi in tutto circa 2500 e ne vengono aggiunte in continuazione.
La folla si concentra davanti a un edificio a forma di tempio cinese: si tratta del Grauman's Chinese Theatre, inaugurato nel 1927 per la prima de "Il re dei re" e sede di numerose altre anteprime nonchè di tre edizioni degli Academy Awards. Ad attirare la folla però non è il teatro in sè ma le numerose impronte nel cemento lasciate dalle star del cinema nel piazzale antistante l'entrata. Tutti cercano di fotografarsi con le mani nel calco delle star ma è impossibile scattare una foto isolata, tanta è la folla che calpesta le impronte.
Che scena buffa: invece che fotografare un'opera d'arte o un paesaggio tutta questa gente è qui per fotografare un calco di cemento con un nome scritto sopra.
Il marciapiede è zeppo di gente e di cianfrusaglie. Mimi immobili e gente travestita da supereroe che fa delle gag con i passanti e si fa scattare le foto in posa. Una ragazzina scialba con la chitarra a tracolla sta cantando qualcosa nella speranza di venir notata.
Qui circuita il sogno americano del diventare famosi. E mi chiedo chissà quanti, magari provenienti dalle cittadine di provincia di tutta l'America, ancora oggi vengono qui a sperare di essere notati e di far fortuna. Esattamente come i loro antenati che attraversarono il continente, sterminando bisonti e indiani, alla ricerca dell'oro californiano. Forse alla fine il vero "oro californiano" è proprio questo: il sogno della fama, vuoto e immorale come quello della ricerca dell'oro.
Anche noi, dal nostro puntino laggiù dall'altra parte dell'oceano, immersi come siamo di bellezze artistiche e naturali, non siamo esenti da questo richiamo che non riesco a non percepire come effimero.
Ora di cena. Decidiamo di cenare in un ristorantino scelto tra quelli consigliati dalla guida Lonely Planet. Non dovrebbe costare troppo, speriamo solo sia buono...  Si trova ad Hollywood:  Ristorante Cha cha cha (656 N Virgil Ave, 90004) specialità caraibiche e piatti multietnici. Localino losco da fuori, a ridosso del quartiere coreano, luce soffusa, veranda in legno e pareti dai colori accesi. Nel piatto uno splendido mix gustoso e agrodolce con riso, verdure e frutta. Intorno a noi pochi tavoli con coppiette del posto. Ottima scelta.

Se vuoi leggere l'intero diario di viaggio clicca qui


lunedì 28 maggio 2012

HoneyUSA, Los Angeles: Rock Walk of Fame e il "santuario"


1 agosto 2011, Los Angeles - Rock Walk of Fame

Un cartello blu posizionato orizzontalmente rispetto al nostro senso di marcia indica Sunset Boulevard. Ci siamo dentro. Ai bordi della strada una fila di altissime palme.
Negli anni '20 questa strada sinuosa era sterrata e univa gli studios in via di sviluppo alle ville delle stelle sulla collina. Verso la metà degli anni '30 venne asfaltato e in mancanza del controllo delle autorità locali si trasformò in una zona dedita al mercato nero e al gioco d'azzardo. Qui ci sono i nightclub più esclusivi e storici alberghi frequentati dalle star del rock.
A destra notiamo The House of Blues, un autentico blues bar trasportato qui così com'è dal Mississippi.
A sinistra una grande insegna luminosa a forma di chitarra cattura l'attenzione di Marco: il Guitar Center.
Neanche il tempo di dire qualcosa ed ha già inchiodato e parcheggiato. Non oso fiatare, ma rifletto sulla facilità di trovare parcheggio sulla prima laterale a caso di Sunset Boulevard. E pure a gratis!
Lui, chitarrista, si ferma davanti all'ingresso del Guitar Center come davanti ad un santuario. Mi ricorda la prima volta che è entrato da Esse Music a Montebelluna (successivamente battezzato, non a caso, "Il santuario").
Entriamo, chitarre dappertutto. Lo vedo girovagare poi dirigersi dritto verso una stanza interamente dedicata alle Martin. Perso il marito. Ci sono chitarre d'epoca, chitarre da migliaia di dollari, chitarre usate da chissachi. Le prova, le assaggia, le ascolta. Penso alle parole ironiche di mio papà che ha sempre detto "In casa nostra si ammettono solo musicisti". Avrei mai potuto condivider la mia vita con qualcuno che non condividesse con me la mia passione per la musica? Con qualcuno che non sapesse suonare per me?
Le sue dita scivolano sulla Martin firmata John Mayer. Sta suonando un blues di Robert Johnson.
Qualcosa di profondo mi lega a quelle sonorità, il blues delle origini muove in me qualcosa che nessun altro genere fa. Dentro quel blues avverto tutta la sofferenza degli afroamericani che cercarono nella musica la via di salvezza dalla pazzia della schiavitù. Non è solo musica, c'è anche l'anima di quella gente che vibra nello stomaco. Spirtual, blues, soul: amo questa musica come se mi appartenesse, come se mi sentissi parte di quella sofferenza, di quel popolo.
Marco ha trovato anche la stanza dei vintage. Lo do per disperso.
Mi avvicino all'uscita e mi accorgo che sul tratto di marciapiede immediatamente fuori dalla porta ci sono delle impronte. Sono delle mani impresse nel cemento. Eric Clapton, i Queen, i Toto, BB.King, ...
Non ci eravamo neanche accorti di essere nella Rock Walk of Fame dove le star della musica hanno lasciato l'impronta delle loro mani esattamente come nella ben più famosa "Walk of Fame" le star del cinema!
Quando esce anche Marco ci perdiamo una buona mezz'ora a fotografare le impronte, a osservare la lunghezza delle dita dei chitarristi. Fotografo le impronte dei Deep Purple per mio padre. Marco si fa la foto, praticamente commosso, con le sue mani nelle impronte di Eric Clapton.

Se vuoi leggere l'intero diario di viaggio clicca qui


domenica 27 maggio 2012

HoneyUSA - La normalità di Beverly Hills

1 agosto 2011, Los Angeles - la normalità di Beverly Hills

Nelle guide che ho studiato prima di partire indicavano la Walk of Fame e il Sunset Boulevard di Hollywood come imperdibili.
In effetti essere e Los Angeles e non fare un salto a vedere quelle che la strada più famosa della città, dove gravita il jet set del cinema holliwoodiano... sarebbe davvero sciocco. Non che mi interessi trovare i personaggi famosi, anzi, la trovo una cosa penosa andare in giro alla ricerca degli autografi e delle foto con le star. E' una cosa che non ho mai fatto e che non farei mai. Ma siamo in fondo distaccatamente curiosi di leggere i nomi sulle stelle e di osservare l'ampiezza delle mani delle star stampate sul cemento davanti al Mann's Chineese Theatre.

Con la nostra grigiastra Nissa Versa lasciamo Santa Monica e ci dirigiamo verso Hollywood. C'è il sole e l'aria è fresca e limpida. Clima eccezionale. Man mano che ci avviciniamo a Beverly Hills notiamo crescere l'accuratezza dei marciapiedi e delle strade. Ville bianche, villoni, quelle dei film, con il prato inglese davanti d'un verde brillante, grandi alberi ombrosi, giardini fioriti, aiuole. Ci sarebbe anche la possibilità di fare il tour delle ville delle star ma non ce ne può fregare di meno.

Imbocchiamo la prima strada che si arrampica sulla collina e decidiamo di spiare un po' il quartiere lontano dalla via principale. Finiamo su per una stradina di montagna, che si allontana dalla città. Ville bellissime ma anche case normali. Troppo fuori dalla città, ritorniamo indietro.
Sbuchiamo nel Beverly Boulevard, traffico. Penso al telefilm della mia adolescenza Bevery Hills 90210 e mi sembra tutto così "nomale". Io insieme a Marco in questa Nissan squanfida esattamente come Brenda e Dylan nella porsche. La cosa non mi emoziona particolarmente, mi sembra di stare in coda nel traffico di casa. Da qualcha parte qua intorno deve esserci Rodeo Drive, uno dei centri della moda internazionale. Ma l'idea di spendere il nostro tempo prezioso a guardare le vetrine delle marche di lusso piene di cose che tanto non potremmo mai comprare non ci invoglia neanche un po'.

Abbiamo sete. Vediamo un market con un parcheggio assolato e decidiamo di fermarci alcuni minuti per comprare un paio di bibite fresche. Mi stupisco di trovare un market così "da periferia" nel centro di Beverly Hills. Alla cassa un uomo che potrebbe essere indiano, per lo meno di origine. E il piccolo market sembra proprio uno di quelli etnici che si trovano anche nelle nostre città. Troviamo un frigo con delle bibite ghiacciate e corridoi di patatine. Io come al solito vado in cerca di qualcosa di salutistico, inutilmente.
Penso a quanto sono belli i nostri supermercati, piccoli o grandi che siano, in centro o in periferia, ricchi di prodotti sani, biologici e nutrienti, colorati, curati in ogni piccolo dettaglio, traboccanti di verdura e frutta fresca. Profumati di pane e focaccia al rosmarino...

Se vuoi leggere l'intero diario di viaggio clicca qui