venerdì 22 marzo 2013

Studi cinesi

Un libro tira l'altro. Ho appena finito l'Ombra di Mao di Federico Rampini dopo Cigni selvatici di Jung Chan e Storia della Cina di Schmidt-Glintzer, ed ho già ho appuntato un paio di altri libri sull'argomento Cina che vorrei comprarmi per approfondire ancora di più nonostante il mio comodino sia perennemente ricoperto di nuovi amici in coda.
Storia della Cina contemporanea: potrebbe essere il nome dell'esame che sto preparando. 
Il bello è che nessuno mi interrogherà mai.

Ho deciso di mia spontanea volontà di mettermi a studiare un po' un mondo che non conosco minimamente, la Cina, con il quale a livello di politiche internazionali non possiamo non fare i conti. Com'era l'Impero, il concetto di civiltà cinese, di Tianxia, che ricorda da lontano la koinè greca, e poi le vicende che hanno condotto fino alla rivoluzione maoista, dal sogno comunista alla sua follia che ha causato lo sterminio per fame di centinaia di milioni di contadini con la politica del Gran Balzo in avanti, la rivoluzione culturale e tutti i retaggi che ancor oggi sono presenti nell'attuale società cinese, volto deformato del capitalismo. 
Comunismo, capitalismo, povertà, democrazia. Finisco sempre per girare intorno a questi concetti.
E quello che leggo non mi fa mai sentire pienamente in possesso della conoscenza ma piuttosto stimola in me nuove ricerche, nuove domande in un circolo vizioso di insaziabile curiosità. 
Tutta colpa di Tiziano che dalla Russia mi ha condotto in Oriente con i suoi viaggi.
È questo é il mio modo di viaggiare, è il massimo che posso permettermi e va bene lo stesso. 
I libri mi conducono lontano dove avrei voluto vivere una vita diversa, al servizio della verità, delle parole, degli ultimi. 
Ma la mia strada è un'altra. L'ho scelta io e non la rinnego. 
Mi bastano i miei libri, miei compagni di viaggio. Mi basta la lettura, lo studio.

Che meraviglia lo studio, soprattutto quando è assolutamente volontario e libero. Nessun esame, niente da dimostrare a nessuno.
Leggo e studio solo per il piacere di farlo. Nutrimento essenziale per il mio cervello e la mia anima. 
Solo a loro devo rispondere. Solo loro mi possono interrogare. 



mercoledì 20 marzo 2013

Ma petite lumière

Il mio esperimento di digiuno da Facebook sta proseguendo a gonfie vele, ma non senza strappi alla regola.
Lascio le mie considerazioni complessive alla fine della quaresima, in un post che sto preparando.
Ma nel frattempo un'anticipazione.
Ho deciso di digiunare da Facebook simbolicamente per il periodo della Quaresima, per poter dedicare più tempo alla preghiera e all'introspezione.
È proprio questa introspezione che mi sta portando ad una considerazione: Facebook è solo uno strumento, ma uno strumento privilegiato di condivisione, dialogo e testimonianza dal quale non posso prescindere.

Proprio come cristiana la mia testimonianza è un dovere.
Una testimonianza di fede che si esprime nelle scelte di vita, nei piccoli gesti quotidiani, nei pensieri, nelle idee e nelle proposte. Quale strumento migliore dei social network e dei blog per la testimonianza oggi?

Le esperienze meravigliose che ho potuto vivere fino ad oggi, dalla parrocchia al volontariato ai viaggi umanitari hanno rafforzato in me una fede sincera, che voglio difendere a tutti i costi. Una piccola fiammella da tenere accesa proprio attraverso la condivisione, come diceva quella vecchia canzone in francese "ma petite lumière je veux que brille..."

Le persone che sono state per me e che sono tutt'ora testimoni di fede vissuta sono persone vere, normali, che hanno testimoniato il loro credo con dei gesti concreti di coerenza al Vangelo e insieme con la professione che la fonte delle loro azioni risiede proprio in quel Vangelo, in Gesù.
Parole e opere, insomma, non possono essere distinte.

E se per le opere cerco di fare del mio meglio, ogni giorno, con tutti i miei limiti e le mie debolezze, per le parole non posso proprio sottrarmi, dato che sono il mio pane quotidiano, il mio lavoro, la mia passione.

Non ho la pretesa di essere una voce autorevole, figuriamoci. Ne tantomeno di saper sempre dire la cosa giusta. Ma ai testimoni non è richiesto questo. Questo è quello che pensano di essere e di dover fare le persone famose o potenti.
Io non ho questa ambizione, ma riconosco di avere la responsabilità della testimonianza. Qualcuno me l'ha detto, e anche se non vorrei so che vengo osservata proprio come un esempio, come un punto di riferimento.

Non vorrei avere la responsabilità di essere un modello, mi sentirei molto piú libera di sbagliare e di essere me stessa senza sapere di avere in qualche modo gli occhi puntati su di me nell'attesa del mio passo falso. Ma essere cristiani significa anche questo, la fede è un dono grande che implica questa responsabilità di fronte al prossimo. Non per affermare quanto si è bravi e quanto si è buoni ma per dimostrare semplicemente che la fonte di ogni nostro talento, di ogni nostro merito e di ogni nostro successo è in Dio, che la fede è una forza in più, che è motivo di grande gioia e pace.

Quindi ecco che per me questa sosta, questo deserto, non é la rincorsa prima di un salto di qualità nella mia comunicazione, che voglio e devo fare con un'ottica di condivisione sincera e mai presuntuosa, di testimonianza e di semplice apertura al mondo.

Che poi, lo devo ammettere, comunicare, condividere, testimoniare è una gioia grande, sprona ad avere uno sguardo sul mondo e sul prossimo, anche se spesso può essere frainteso come puro esibizionismo.
Cercherò di fare del mio meglio e di fuggire il più possibile la tentazione di parlare di me per spendere il mio tempo a condividere con gli altri.

Sono un'anima in pena, non riesco a tacere, non riesco ad isolarmi, non riesco a non condividere, non riesco a non testimoniare che tutto quello che ho é un dono grande, ogni istante, ogni post, ogni status, ogni tweet.

La grandezza di Ratzinger

Più passano i giorni, più il mondo acclama all'umiltà e alla novità di Papa Francesco e più si definisce la grandezza della scelta di Joseph Ratzinger.
Non ho avuto inizialmente grande simpatia istintiva per Papa Benedetto, come molti. Lo conoscevo già, prima che diventasse Papa, e in particolare mi ero impuntata su alcune sue affermazioni relative alla liturgia accompagnata da musica e strumenti moderni. Avendo per anni animato la messa con canti gioiosi e chitarre e cembali e battiti di mani la sua linea più tradizionale mi infastidiva. Tutto qua.
Poi però ho cercato di superare la mia superficiale diffidenza leggendo alcuni testi scritti da lui e scoprendo un finissimo pensatore dalla fede profonda e bella, molto diverso da quel Papa anziano e tradizionalista che i media (e i comici) dipingevano con sempre più aggressività.
Dopo il lungo e impattante pontificato di Woytjla sarebbe stata dura per chiunque. Ma per lui forse lo è stato ancora di più affermare un'immagine positiva in un contesto di continui scandali e sfide che hanno coinvolto la Chiesa.
Proprio per questo la sua scelta di "dimettersi" assume una sfumatura ancora più grandiosa, una grandezza che richiede un'umiltà straordinaria. Umiltà estrema che si tramuta in forza, ed ecco che alla fine risulta davvero vincente proprio nella sua rinuncia.
Ratzinger sapeva benissimo fin dal primo giorno di pontificato che non avrebbe goduto della stessa simpatia popolare di Woytjla, e ha ugualmente vissuto giorno dopo giorno in perenne confronto col predecessore, pur cosciente di essere in perfetta continuità dottrinale.
Ancor più sapeva come sarebbe stato il confronto con il suo successore, eletto proprio da quegli stessi cardinali nominati da lui che non potevano non scegliere un successore più comunicativo.
Provo una grande ammirazione e tenerezza per Ratzinger in questo momento, in cui vive in diretta l'ennesimo confronto in cui agli occhi della massa risulta il perdente, il vecchio, il conservatore e in cui incarna l'immagine di una Chiesa chiusa e lontana dalla gente, invischiata dagli intrighi di palazzo e offuscata dall'ombra degli scandali.
Proprio lui che ha fatto il gesto più umile di tutti, farsi da parte e sopportare di essere superato in consensi dal suo successore.
Ora, ogni volta che si esalta Papa Francesco per la sua informalità e la sua semplicità, la vicinanza agli ultimi, il cambiamento e la capacità di comunicare un'immagine fresca e nuova della Chiesa, bisognerebbe ricordare che tutto questo è avvenuto proprio grazie al grande coraggio di Benedetto XVI.
Grandissimo.

martedì 19 marzo 2013

Il buon consulente di comunicazione di Papa Francesco

Quanto pesi la forma rispetto alla sostanza ce ne accorgiamo in questi giorni che salutiamo la nomina di Papa Francesco come un segno di grande cambiamento. E lo è. E ne sono felice.
Ma penso anche a come sia bastato poco per trasmettere universalmente un'immagine di rinnovamento, di semplicità, di umiltà. Poche parole, pochi gesti e già eravamo persuasi del fatto che questo è il volto della Chiesa che ci piace. Ma ci voleva così tanto?

L'importanza della comunicazione del bene. Sempre così sottovalutata.

Non credo affatto che Ratzinger fosse meno vicino al Vangelo di quanto non sembri esserlo Bergoglio, forse solo non lo comunicava in modo efficace.
Quel bel volto della Chiesa di vicinanza agli ultimi non é una novità: io l'ho sempre visto nel mio piccolo incarnato da tanti, tantissimi cristiani, persone che vivono la loro fede nel quotidiano, nei loro gesti e nelle loro parole ogni giorno e che testimoniano, laici e religiosi, una fede vissuta, bella, limpida, gioiosa, serena.
Forse troppo nascosta. Già, troppo poco comunicata.
Non dovrebbe essere una cosa strana di cui stupirci eccessivamente, dopotutto, che il Papa dica che il potere è servizio o che dobbiamo avere cura del prossimo e del creato. Però vedere la sua foto quand'era vescovo e girava in metropolitana, o in pulmino con gli altri cardinali oppure ancora alla hall dell'albergo a pagare il conto non può che stupire. E far sorridere.

Gran bella tattica di comunicazione, mi verrebbe da dire da addetta ai lavori. Già perchè a volte bastano pochi semplici gesti per trasmettere un'immagine positiva ma ne bastano allo stesso tempo altri pochi per crollare rovinosamente nella classifica dell'appeal superficiale popolare, che è cosa diversa dalla fede, ma serve sempre.

La Chiesa è per sua natura composta da diverse anime e proprio perchè umana è imperfetta, santa e peccatrice al contempo. Perchè non usare quindi un po' di quella sana furbizia che ci suggerisce anche il Vangelo ("puri come colombe e astuti come serpenti" Mt 10,16) e fare del nostro meglio per mettere in luce il volto migliore della Chiesa? Un volto che già c'è in abbondanza nel mondo e che si tratta solo di
far emergere come volto ufficiale?

Perché non puntare, si, su un po' di segni forti, popolari, forse populistici, ma che permetterebbero ( come sta già accadendo) a tanti di limare un po' di pregiudizi?
In fondo è un po' quello che serve anche alla politica: segni. Siamo umani, abbiamo bisogno di simboli, segni, messaggi chiari e semplici.

In questo caso direi che solo parzialmente la forma è sostanza. Ma intanto cominciamo con la forma, che è più urgente, poi andiamo a fondo anche nella concretezza della realtà ecclesiale a renderla, dove non lo sia già, il più possibile coerente con la semplicità e la bellezza del Vangelo.

Papa Francesco sembra sulla buona strada.

Tutto merito dello Spirito Santo, il miglior consulente, ma anche un
po' merito suo per averlo ascoltato ...