venerdì 16 settembre 2011

HoneyUSA. NEW YORK

New York.
Non potevamo non fermarci qualche giorno a New York.
Piccolo appartamento in Upper East Side, a Manhattan. Scale antincendio arrampicate sulla facciata esterna del palazzo, aria condizionata ululante, nessuna tapparella, vista su altro palazzone.
Sulla cartina sembra tutto vicino, Central Park, Downtown, the 5th avenue.. Ma non é affatto così.
Certo, la dirò anche io la banalità che dicono tutti gli italiani in America: "qui è tutto grande". Vero. Ecco l'ho detta.
Strade, grattacieli, reparti del supermarket dedicati alle patatine, bibite e panini, girivita dei passanti...
Il nostro primo impatto con la grande mela, come la chiamano, é un po' controverso. Perché a New York ti sembra di abitarci da sempre, tutto sembra già visto e quindi in un certo senso non ti colpisce niente. Almeno questo è l'effetto che ha fatto a noi.
La parola ridondante é "grande". Grande si, ma io aggiungerei anche "vecchio". New York mi è parsa una città vecchia, non antica, certo non storica, ma nemmeno così futuristica. Sarà che siamo talmente abituati a vederla come scenario in film e telefilm, ma a me (e anche a Marco) non ha suscitato alcuna eccessiva emozione.
Tutte le grandi città assomigliano a New York e New York assomiglia a tutte le grandi città del mondo. Una gigantesca distesa di periferie e un centro commerciale nel mezzo. I negozi delle grandi marche, qui come a Milano o a Londra. Mc Donald's puzzolenti qui come ovunque nel mondo, negozietti minuscoli con scritte in cinese, qui come in via Piave a Mestre. Questa -hanno ragione- è proprio la capitale del mondo globalizzato. C'è tutto di tutto.
Abbiamo cercato invano qualcosa che ci lasciasse senza fiato, ma per quanto la Statua della Libertà sia carica di simbolismo, per quanto Ellis Island trasudi memoria, ground zero attualità internazionale e il Ponte di Brooklyn illustri un bel panorama... in fondo niente ci ha trapassato in profondità. I villages, little Italy e Chinatown sono colorati e strapieni di gente, ma tutte le strade sembrano uguali. incrocio, semaforo, strisce pedonali, marciapiede affollato, taxi, Starbucks. Prossimo isolato: incrocio, semaforo, strisce pedonali, marciapiede affollato, taxi, Burger King...e via così...
Cosa rende unica questa città? Dov'è l'identità di questo paese? Dov'è la sua storia? Non abbiamo trovato tracce profonde, solo passi freschi.
Dov'è la sua anima, dove il suo cuore? Abbiamo trovato templi innalzati al dio progresso, al dio denaro (perché questo sono i grattacieli), abbiamo vissuto l'esperienza unica e tremenda di sentirci invisibili nella metropolitana.
Abbiamo toccato con mano i sogni di gente proveniente da tutti gli angoli del mondo, esuli, immigrati in cerca di nuova vita, di opportunità, di casa.
Ciascuno ha portato qui il suo sogno di progresso. Poi c'è chi ce l'ha fatta e chi no.
Il tempio del consumismo si arresta alle porte di Central Park, uno splendido polmone verde nel cuore di Manhattan. Ci si perde nei vialetti, colline, rocce, laghetti, prati verdi. Gente che corre, che passeggia, che riposa su un prato. Una grande pace.
A differenza di tanta gente, estasiata dopo aver visto questa città, non vivrei mai a New York.
Ma dentro Central Park si.


Per leggere gli altri appunti di viaggio dagli USA:
http://caffe-amaro.blogspot.com/p/usa-moleskine_05.html



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giovedì 15 settembre 2011

HoneyUSA. Le premesse

Premessa: per me hanno sempre avuto ragione gli indiani.
E già partiamo male. Perché andare in America tifando per gli indiani ti indispone di default nei confronti di tutto ciò che c'è di costruito sul continente.

Al posto di sbarcare in un festoso clima disneyano con la bandierina e l'hot dog in mano, finisce che osservi ogni cosa con disincanto e un pelo di cinismo.
"Fantastico, sono la persona giusta nel posto giusto. Non mi fregate con la menata del sogno americano" mi dico mentre come uno zombie dopo 9 ore di volo attendo in coda al JFK di essere schedata con tanto di impronte digitali di tutte e 10 le dita.

"Sono in vacanza. Sono qui per divertirmi e il mio divertimento massimo é il reportage". Ma siccome sono anche in viaggio di nozze se il mio fresco maritino mi sgamma a lavorare anche stavolta potrebbe essere un problema...

Già l'anno scorso abbiamo trascorso le ferie in Bielorussia per il progetto Help for Children, stavolta non posso, dai.

Niente interviste e niente block notes, solo impatti, impressioni e chilometri. Tanti chilometri.



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mercoledì 14 settembre 2011

La mia prima vendemmia

Si può dire di aver vissuto senza aver mai provato l'ebbrezza di una vera vendemmia?
Cittadina da sempre, non ho mai visto da vicino questo rituale contadino antico. Me ne vergogno, perché si tratta di una carenza culturale imperdonabile.
Curiosa per deformazione professionale, ho trascinato marito ed amici alla vendemmia del Valdobbiadene DOCG, tra le spettacolari colline trevigiane di Guia.
Giornata stranamente calda per la vendemmia, quest'anno anticipata a fine agosto. Pantaloni lunghi e scarponi da montagna. L'appuntamento è direttamente in vigna, dove ci accompagna personalmente Desiderio, il titolare della Cantina Bortolin Angelo Spumanti, produttore di un Valdobbiadene DOCG da Gran Medaglia d'oro. Se dobbiamo vendemmiare allora andiamo a farlo dove si produce il miglior spumante del mondo no?
Il posto è spettacolare. Il vigneto si distende sulla riva di una collina, del tutto nascosta dalla strada, a cui si accede solo tramite uno stretto sentiero asfaltato. Franco, il proprietario del vigneto e cognato di Desiderio, ci aspettava li insieme a moglie e tre figli e alle sue due sorelle anch'esse con marito e figli. É domenica e questa non é gente che vendemmia di professione. Ci siamo infiltrati nel bel mezzo di un rituale familiare.

Il vigneto apparteneva al padre di Franco insieme a un altro pezzo della collina e a quella casa laggiù, oggi venduta e restaurata, ma ancora disabitata.
Mentre iniziamo a recidere i grappoli succosi con delle apposite forbici le sorelle di Franco e la moglie Giovanna ci raccontano episodi della loro infanzia in vigna, il tempo in cui abitavano in quella casa senza elettricità e acqua corrente, quando la nonna allevava bachi da seta sull'enorme gelso che sorge ancora nel cortile. Giovanna ricorda i consigli di suo padre Angelo, il fondatore della Cantina che porta il suo nome, su come procedere in modo ordinato la vendemmia lungo i filari, e descrive i giochi dei bambini che avevano il compito di raccogliere tutti gli acini caduti a terra...
Il tempo si ferma. Rimane solo il profumo dell'uva matura. I cani corrono liberamente per il vigneto insieme ai bambini.
Man mano che si procede si osserva come cambiano i grappoli a seconda della posizione del tralcio: più vicino al bosco e al lato ombroso della collina sono meno maturi, gli acini verdi e meno polposi. Mentre lassù dove il sole illumina i filari fino a sera sono più belli, ricchi e succosi. Si capisce così la profonda differenza che c'è tra il Prosecco doc (coltivato in pianura) e il docg (in collina). La fatica del lavoro in questi vigneti eroici é tutta descritta nei profumi inconfondibili del Valdobbiadene docg. Un succo di storia e di sacrifici. Quelli di una famiglia come questa di Angelo, ad esempio, oggi premiata dal riconoscimento internazionale per l'alta qualità dei suoi spumanti.
Grazie al nostro inesperto contributo la vendemmia finisce presto. Quattro persone in più, per quanto digiune di esperienza e tecnica, possono fare la differenza. E cosi c'è tutto il tempo di allestire una tavolata sotto un vecchio noce. Quel noce da cui spunta, quasi spettrale, una falce, dimenticata lassù appesa chissà quanto tempo fa dal padre di Franco. Il noce ora l'ha inglobata al suo tronco, come a voler conservare anch'esso un ricordo della famiglia che per tanti anni ha coltivato con amore quella terra.
Già, perché sembra proprio che la terra riesca a cogliere le emozioni delle mani che la lavorano. Ed è proprio quella stessa passione per la vite e i suoi frutti che contraddistingue ogni membro della famiglia Bortolin. Una passione estremamente contagiosa e travolgente, che abbraccia con generosità e sincero affetto ogni persona che ne entri in contatto.
Come noi, per un giorno adottati nella vigna dalla famiglia Bortolin. Bere un bicchiere di vino d'ora in poi non sarà più la stessa cosa.

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