giovedì 1 dicembre 2011

II mio sogno è la realtà

Macché pensione. Tutti sono preoccupati in questi giorni di quando andranno in pensione. Figuriamoci. Io ho quasi 30 anni e sono psicologicamente preparata a non andarci mai. Mi preoccupo solo di tenermi stretto il mio stipendio mensile, quello che mi basta per pagare l'affitto e finché dura mi godo il piacere di fare un lavoro che mi appassiona e mi diverte. Domani non si sa.
Sono partita con grandi sogni e aspettative dal liceo all'università, al giornalismo. Oggi sono totalmente disincantata.
Il mio sogno oggi é il non vivere incubi. Questo mi basta. Non pretendo altro. Non sogno più nient'altro.
Ho un tetto sopra la testa, un marito al mio fianco, un lavoro per il quale mi sveglio volentieri la mattina, amici e parenti con cui passare le feste, soldi sufficienti a pagare l'affitto, le bollette, la spesa. La salute.
Mi può bastare.
Il mio sogno è la realtà.
La mia realtà, in confronto a quella di milioni di persone nel mondo, è un sogno.

Il mio sogno è tenermela stretta.


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giovedì 24 novembre 2011

Come Mary Poppins

Pulire il bagno la mattina prima di prendere il treno per andare al lavoro mi da' una grande soddisfazione.
Piccole nuove gioie domestiche.
No, non sto scherzando.
Per una femminista disordinata come me prendersi cura della casa assume un valore psico-sociale del tutto inaspettato. Mettere in ordine non é mai stato il mio forte, eppure oggi occuparmi delle tante piccole cose che si devono fare in una casa mi trasmette un senso di positiva serenità e un cenno di onnipotenza.
Della serie "mi sveglio alle 6.30, lavoro tutto il giorno e rientro a casa alle 7 di sera eppure riesco anche a stirare, fare lavatrici, pulire il bagno e passare l'aspirapolvere, cucinare e persino rammendare bottoni ciondolanti".

Interpreto la parte di Mary Poppins, la sua filosofia mi piace un sacco. Con un poco di zucchero la pillola va giù. E puoi trovare piacevole persino la routine casalinga.
Forse è semplicemente che ho desiderato tanto questa situazione, il matrimonio, una casetta tutta per noi, che non riesco ancora ad annoiarmi nemmeno del fare le pulizie, cosa che non ho mai potuto sopportare...

O forse è proprio una questione psicologica tipica delle donne della mia generazione, abituate ad essere brave in tutto, dalla prima elementare in poi, alla ricerca di un nuovo ruolo femminile che non sia però in contrapposizione con il passato (come è invece stato per le nostre madri).

E la differenza, in questo rinnovato ruolo domestico-professionale, -devo ammetterlo- alla fine la fanno gli uomini che ci scegliamo accanto.
Sembrerà banale, ma non lo é: se le pulizie se si fanno in due si impiega la metà del tempo...


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martedì 22 novembre 2011

Visita da ET

Per un istante mi é sembrato di essere in un mondo parallelo. Il medico (donna) mi ha ricevuto con un sorriso, in uno studio pulito e profumato, perfettamente puntuale, ha registrato velocemente tutti i miei dati in un pc, mi ha visitato spiegandomi in modo semplice e chiaro cosa stava facendo.
Nel giro di 10 minuti aveva finito e mi aveva già chiesto il codice fiscale per potermi fare la fattura e nel frattempo mi aveva anche preparato una cartellina con la scheda riassuntiva dell'esame da potermi portare a casa.
Su un'etichetta tutti i suoi contatti, compreso l'indirizzo e-mail.

Sembrava troppo bello, meno male che le ho lasciato giù quei 200 euro che almeno mi sono ridestata ricordandomi che era una visita privata...
Si, da ET...

giovedì 17 novembre 2011

Il dovere di voto brasiliano

Sono cascata come un pero quando la mia amica Patricia – che è brasiliana – mi ha raccontato che in Brasile il voto non è un diritto ma un obbligo tra i 18 e i 70 anni, mentre è facoltativo tra i 16 e i 18 anni e oltre i 70 anni.

Chi non si presenta alle urne il giorno delle elezioni e non giustifica successivamente la sua assenza all'ufficio anagrafe perde i diritti basilari di cittadino come ottenere la carta d'identità e il passaporto, deve pagare una multa e regolarizzare la sua posizione con la giustizia elettorale.

Lei si stupisce del mio sguardo sbalordito di fronte alla parole "giustizia elettorale".

Per me è un'illuminazione.
Forzato, ma interessante.

Patricia casca dal pero lei invece quando le racconto che in Italia più della metà degli aventi diritto si astiene dall'esercitare il diritto di voto e che quindi la "maggioranza" di governo non è che una maggioranza per modo di dire.

Confronti internazionali di politologia e fini scambi culturali sul treno dei pendolari diretto a Conegliano.
Sull'orizzonte le colline roseggianti.
Il Piave si lascia attraversare senza mai passare inosservato. Risveglia un senso di patria e di dovere civile da troppi anni sopito.


 

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mercoledì 16 novembre 2011

In & out

Anni fa, ma tanti anni fa, ho letto "L'era dell'accesso" di Jeremy Rifkin. Un saggio di sociologia spaventosamente profetico. Parlava di una società divisa non sulla proprietà, ma piuttosto sull'accessibilità. Tecnologia e internet hanno alla fine creato davvero questa divisione. O sei dentro o sei fuori. E se sei fuori sei lontano da ogni accesso al potere e alle decisioni.

Per la mia generazione è tutto scontato: leggere le news in tempo reale sullo smart phone, chattare con gente dall'altra parte del pianeta, scambiarsi file e foto via mail, frequentare gli amici sui social network. È anacronistico fare i nostalgici del profumo della carta da giornale e delle amicizie a tu per tu davanti a un caffè. Giusto o sbagliato che sia dobbiamo essere nel mondo, conoscere le sue leggi e i suoi meccanismi per poterlo cambiare dal di dentro. O anche solo per viverci non da extraterrestri.

La tecnologia sta creando uno spartiacque spettacolare, preoccupante e affascinante allo stesso tempo, tra coloro che la frequentano e la posseggono, almeno in parte, e coloro che non possono accedervi o -peggio- non vogliono averci a che fare. Una spaccatura tra generazioni fortissima, una spaccatura tra nord e sud del mondo amplificata.

In Italia siamo all'età della pietra sugli strumenti tecnologici applicati alla vita sociale, e questo perché siamo governati a tutti i livelli da persone troppo vecchie e antitecnologiche, dalla politica all'imprenditoria. Ma presto o tardi dovremmo arrivarci. Meglio presto, se non vogliamo essere tagliati fuori davvero dallo sviluppo.

Alfabetizzazione informatica obbligatoria e accesso alla rete gratuito per tutti, potrebbero essere le prime azioni.
Sono sicura che la tecnologia possa rendere la nostra vita migliore. Basterebbe usarla...e usarla tutti...istituzioni e politica per primi!!!!!




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lunedì 14 novembre 2011

Post Silvio

Certo che ho festeggiato sabato sera. Vorrei anche vedere. Dicono che non c'è niente da festeggiare, che tanto la crisi c'è lo stesso, che tanto Monti non é un santo, che non si sa se domani sarà meglio di ieri. Ma lasciatemi festeggiare, con quella soddisfazione amara di chi può orgogliosamente dire di essere sempre stata un'antiberlusconiana, e con cognizione di causa. Lasciatemi sfogliare le ultime pagine di questo libro, che ho letto con passione e disincanto in ogni suo paragrafo, convinta di aver scelto la parte giusta, quella della storia.
Ora é tutto da ri-costruire, si intende. E mi secca che a farlo sia un uomo, un vecchio, che sicuramente si circonderà di altrettanti uomini, e vecchi. Lo intendo come una cura necessaria.
Poi però vorrei il cambiamento vero, vorrei vedere governare delle forze giovani, lontane dalle vecchie categorie della politica del 900, vorrei una politica 2.0, capace di mettere al primo posto l'interesse comune, la giustizia sociale, la tutela dell'ambiente, il rispetto delle regole...Vorrei una politica più al femminile. A sprazzi immagino come sarebbe. E quello che immagino sembra funzionare...




venerdì 11 novembre 2011

Danza interiore

Ho ripreso da poco le lezioni di danza. A quasi 30 anni, si, dopo che avevo smesso da 3. Un trauma catartico.

Alla prima lezione ho cominciato subito a sentirmi vecchia e arruginita. Come un macigno dentro i muscoli delle gambe e nel petto. Nella mia testa riaffioravano, come gli gnocchi nella pentola dell'acqua calda, le posizioni imparate dal paziente insegnamento della maestra. Il mio cervello era fresco e pieno di entusiasmo, ma il mio corpo non rispondeva ai comandi.

Piano piano però la magia dei plié mi ha ringiovanito. Se non altro nello spirito. Mi sono ritrovata in poche settimane più fluida e più forte, quasi come ai vecchi tempi.
E come ai vecchi tempi, nella testa solo il movimento liquido, la concentrazione, la forza e l'abbandono. Sono pesce, gabbiano, libellula. Porto addosso una corazza da tartaruga che mi regala di giorno in giorno il tempo che passa, resa più solida dalle delusioni e dal disincanto, resa più leggera da portare dalle lezioni di vita amaramente imparate.

La mia danza avviene li dentro, al sicuro. Dove sono libera di essere nuda dai pensieri, dove resterò sempre quella ventenne idealista e sognatrice che ero.
Almeno finché mi reggeranno le caviglie e il fiato...

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martedì 8 novembre 2011

Sempre di corsa

Sarebbero passati in realtà solo tre mesi dal matrimonio e il trasferimento a Mogliano. Volati. Il ritmo frenetico della nostra vita accelera sempre più. Quasi non me ne accorgo e arriva un altro week end.
L'elenco delle persone che aspettano una mia telefonata si allunga di settimana in settimana. Con precisione annoto sulla moleskine lo schemino delle cose da fare, delle persone da chiamare, delle cene da organizzare, delle cose da scrivere...
Di settimana in settimana. In accumulo. Vorrei riuscire a fare tutto, come ho sempre fatto, ed esaurire la lista. Vorrei mettere quelle maledette crocette sui quadratini. Accontentare tutti.

Vorrei essere una wonderwoman, dare il massimo nel mio lavoro come professionista e contemporaneamente essere una moglie perfetta prendendomi cura della mia casa e della mia famiglia, dedicando il mio tempo libero alle mie passioni e ai miei amici. Essere brava in tutto, non sono sempre stata cosi? La mia virtù e la mia croce...

E mi chiedo, se in qualche momento non dovessi riuscire a dare il massimo a tutti, se ora volessi concentrarmi sulla mia nuova vita, trascurando qualcuno o qualcosa, ci sarà chi disposto a capirmi e ad accettarmi lo stesso?
O devo sempre indossare il costumino da supereroe e sorridere al pubblico?

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giovedì 29 settembre 2011

HoneyUSA. New York. Against american coffee

Caffè americano. Parliamone.
Non ci siamo, decisamente non ci siamo. Lo chiamano caffè ma é un liquame dal gusto indefinito che viene servito ustionante in dei grandi bicchieroni di plastica con il tappo e un buco a mo' di beccuccio.
In giro per Manhattan è pieno di gente con sto biberon in mano mentre guida, mentre cammina, mentre telefona al cellulare rigorosamente IPhone).
"Se è tanto gettonato deve essere anche buono sto caffè americano" ci siam detti noi il primo giorno.
Fiondati da Starbucks ordiniamo due caffè americani. E a fatica perché sti americani si mangiano le parole che é un piacere.
2 american coffees and 2 muffins.
Ci consegnano due bicchieroni incandescenti che nemmeno l'apposito cartoncino aiuta a tenere in mano da quanto scottano. Dentro ci si può mettere zucchero, latte, cannella a volontà. Ma io, stoica, no. Il caffè va bevuto amaro.
Aspettiamo che si raffreddi un po' e nel frattempo sempre con sto biberon in mano andiamo in giro per New York proprio come fanno i newyorkesi, facendo tutto con una mano sola. Praticamente due handicappati.
Passano i minuti. Dopo una quindicina di minuti di attesa il contenitore sembra essersi un po' raffreddato.
Tentiamo un piccolo approccio, appoggiamo le labbra al beccuccio ma non arriviamo alla prima sorsata. Se il contenitore era appena più tiepido il caffè dentro era sempre incandescente.
Piovono maledizioni rivolte a tutte le generazioni di immigrati americani e in particolare a quelli che hanno avuto la fantastica idea di inventare il caffè americano, che -tra l'altro- dopo mezz'ora non siamo neanche riusciti ad assaggiare.
Continuiamo a girare col biberon in mano. Sento che il mio dipendente bisogno di caffè deve essere soddisfatto a breve, ma il coso brucia e sembra non accennare a raffreddarsi.
Penso alle tazzine dal bordo rotondo e spesso dei bar italiani, a quel mezzo dito di nettare marrone scuro, denso e profumato, alla cremina in superficie, soffice e intensa, al caffè espresso amaro da far i brividi che lascia in bocca un aroma persistente e dolciastro... Ah il caffè italiano...
Passa un'altra mezz'ora prima che riusciamo a sorseggiare il liquame. Il gusto, amaro, non ha nulla a che vedere con il caffè. É acido, sa da acqua sporca. Ha un odore lontanissimo ma quello che emerge è la plastica.
Che schifo.
Mi son portata dietro l'intrigo per un'ora e adesso non riesco neanche a berlo. Proviamo a metterci dello zucchero. Prima una, poi due, tre bustine. Ma continua a fare schifo.
Ne bevo mezzo solo perché mi secca aver speso i soldi.
Poi finisce nella spazzatura.
Ho bisogno del caffè, proviamo a berlo anche i giorni successivi in altri posti, ma la situazione non cambia.
Mi chiedo se anche i newyorkesi non tengano in mano il biberon solo per moda e poi non lo buttino via. O se non lo usino principalmente in inverno solo per scaldarsi le mani.
Ci credo che poi alla fine devi rifarti la bocca con i muffin... Soffici, unti di burro fino a far schifo...lasciano addosso la sensazione di aver mangiato una mastella di grasso e un principio di dipendenza dopo il primo morso. Un mattone. Almeno 2000 calorie per panetto.
Non ci siamo proprio.
Francesca vs American food: è guerra aperta.


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giovedì 22 settembre 2011

HoneyUSA. New York. Immigrants

Sul battello diretto a Ellis Island ho provato a immedesimarmi in uno di quei milioni di migranti che raggiunsero New York fermandosi obbligatoriamente per i controlli su quell'isola.
Laggiù lo skyline della grande metropoli ricca di progetti, prospettive e pericoli. Nuovi orizzonti. Una nuova vita lontano da casa. Alle spalle l'oceano e il passato, la vecchia Europa.
Considerando che nel giro di un anno la mia vita è cambiata radicalmente, tutto sommato non mi spaventa l'idea del cambiamento in se', e nemmeno quella del viaggio lontano.
Eppure mentre girovagavamo per il museo dell'immigrazione non facevo che pensare se davvero sarei stata all'epoca una di quelli, immigrati qui in America in cerca di fortuna, oppure se non sarei piuttosto rimasta a casa, nella mia terra a cercare di sopravvivere qui.
Me lo chiedo anche adesso, me lo chiedo da anni perché non partire...
Molti dei miei amici e compagni di studi vivono fuori dall'Italia, in Europa o anche in America. Qualcuno finirà per restarci per sempre. Qualcuno concluderà alla fine di aver fatto bene, qualcuno magari invece no.
Mi piace l'avventura, ma a tempo determinato. Forse é per questo che non ho mai preso in considerazione l'idea di trasferirmi all'estero, nonostante in Italia la situazione non sia delle più rosee. O forse è perché in fondo a me le cose non vanno poi tanto male. Forse sono io che non sono ambiziosa, qualcuno potrebbe dire che mi accontento.
Invece secondo me è una questione di indole. C'è chi preferisce ricomiciare da zero e chi resta e restaura.
Non mi sento meno coraggiosa a restare in Italia rispetto a chi ha cercato di meglio altrove. E non trovo meno coraggiosi quegli europei rimasti nella loro terra di quelli salpati in cerca di fortuna. Sono diverse forme di coraggio. E penso che questo valga anche per tutti gli altri migranti. Chi può dire se ci vuole più coraggio a montare su un gommone per attraversare il Mediterraneo o a restare affamati nelle guerre africane?
Probabilmente fossi nata nell'800 non sarei mai partita. Mi rendo conto che sono molto più attaccata alle mie radici veneziane, italiane ed europee di quanto pensassi.
Non che mi avrebbe spaventato l'incertezza o la lontananza da casa e affetti.
Semplicemente all'estero si mangia da schifo.


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venerdì 16 settembre 2011

HoneyUSA. NEW YORK

New York.
Non potevamo non fermarci qualche giorno a New York.
Piccolo appartamento in Upper East Side, a Manhattan. Scale antincendio arrampicate sulla facciata esterna del palazzo, aria condizionata ululante, nessuna tapparella, vista su altro palazzone.
Sulla cartina sembra tutto vicino, Central Park, Downtown, the 5th avenue.. Ma non é affatto così.
Certo, la dirò anche io la banalità che dicono tutti gli italiani in America: "qui è tutto grande". Vero. Ecco l'ho detta.
Strade, grattacieli, reparti del supermarket dedicati alle patatine, bibite e panini, girivita dei passanti...
Il nostro primo impatto con la grande mela, come la chiamano, é un po' controverso. Perché a New York ti sembra di abitarci da sempre, tutto sembra già visto e quindi in un certo senso non ti colpisce niente. Almeno questo è l'effetto che ha fatto a noi.
La parola ridondante é "grande". Grande si, ma io aggiungerei anche "vecchio". New York mi è parsa una città vecchia, non antica, certo non storica, ma nemmeno così futuristica. Sarà che siamo talmente abituati a vederla come scenario in film e telefilm, ma a me (e anche a Marco) non ha suscitato alcuna eccessiva emozione.
Tutte le grandi città assomigliano a New York e New York assomiglia a tutte le grandi città del mondo. Una gigantesca distesa di periferie e un centro commerciale nel mezzo. I negozi delle grandi marche, qui come a Milano o a Londra. Mc Donald's puzzolenti qui come ovunque nel mondo, negozietti minuscoli con scritte in cinese, qui come in via Piave a Mestre. Questa -hanno ragione- è proprio la capitale del mondo globalizzato. C'è tutto di tutto.
Abbiamo cercato invano qualcosa che ci lasciasse senza fiato, ma per quanto la Statua della Libertà sia carica di simbolismo, per quanto Ellis Island trasudi memoria, ground zero attualità internazionale e il Ponte di Brooklyn illustri un bel panorama... in fondo niente ci ha trapassato in profondità. I villages, little Italy e Chinatown sono colorati e strapieni di gente, ma tutte le strade sembrano uguali. incrocio, semaforo, strisce pedonali, marciapiede affollato, taxi, Starbucks. Prossimo isolato: incrocio, semaforo, strisce pedonali, marciapiede affollato, taxi, Burger King...e via così...
Cosa rende unica questa città? Dov'è l'identità di questo paese? Dov'è la sua storia? Non abbiamo trovato tracce profonde, solo passi freschi.
Dov'è la sua anima, dove il suo cuore? Abbiamo trovato templi innalzati al dio progresso, al dio denaro (perché questo sono i grattacieli), abbiamo vissuto l'esperienza unica e tremenda di sentirci invisibili nella metropolitana.
Abbiamo toccato con mano i sogni di gente proveniente da tutti gli angoli del mondo, esuli, immigrati in cerca di nuova vita, di opportunità, di casa.
Ciascuno ha portato qui il suo sogno di progresso. Poi c'è chi ce l'ha fatta e chi no.
Il tempio del consumismo si arresta alle porte di Central Park, uno splendido polmone verde nel cuore di Manhattan. Ci si perde nei vialetti, colline, rocce, laghetti, prati verdi. Gente che corre, che passeggia, che riposa su un prato. Una grande pace.
A differenza di tanta gente, estasiata dopo aver visto questa città, non vivrei mai a New York.
Ma dentro Central Park si.


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giovedì 15 settembre 2011

HoneyUSA. Le premesse

Premessa: per me hanno sempre avuto ragione gli indiani.
E già partiamo male. Perché andare in America tifando per gli indiani ti indispone di default nei confronti di tutto ciò che c'è di costruito sul continente.

Al posto di sbarcare in un festoso clima disneyano con la bandierina e l'hot dog in mano, finisce che osservi ogni cosa con disincanto e un pelo di cinismo.
"Fantastico, sono la persona giusta nel posto giusto. Non mi fregate con la menata del sogno americano" mi dico mentre come uno zombie dopo 9 ore di volo attendo in coda al JFK di essere schedata con tanto di impronte digitali di tutte e 10 le dita.

"Sono in vacanza. Sono qui per divertirmi e il mio divertimento massimo é il reportage". Ma siccome sono anche in viaggio di nozze se il mio fresco maritino mi sgamma a lavorare anche stavolta potrebbe essere un problema...

Già l'anno scorso abbiamo trascorso le ferie in Bielorussia per il progetto Help for Children, stavolta non posso, dai.

Niente interviste e niente block notes, solo impatti, impressioni e chilometri. Tanti chilometri.



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mercoledì 14 settembre 2011

La mia prima vendemmia

Si può dire di aver vissuto senza aver mai provato l'ebbrezza di una vera vendemmia?
Cittadina da sempre, non ho mai visto da vicino questo rituale contadino antico. Me ne vergogno, perché si tratta di una carenza culturale imperdonabile.
Curiosa per deformazione professionale, ho trascinato marito ed amici alla vendemmia del Valdobbiadene DOCG, tra le spettacolari colline trevigiane di Guia.
Giornata stranamente calda per la vendemmia, quest'anno anticipata a fine agosto. Pantaloni lunghi e scarponi da montagna. L'appuntamento è direttamente in vigna, dove ci accompagna personalmente Desiderio, il titolare della Cantina Bortolin Angelo Spumanti, produttore di un Valdobbiadene DOCG da Gran Medaglia d'oro. Se dobbiamo vendemmiare allora andiamo a farlo dove si produce il miglior spumante del mondo no?
Il posto è spettacolare. Il vigneto si distende sulla riva di una collina, del tutto nascosta dalla strada, a cui si accede solo tramite uno stretto sentiero asfaltato. Franco, il proprietario del vigneto e cognato di Desiderio, ci aspettava li insieme a moglie e tre figli e alle sue due sorelle anch'esse con marito e figli. É domenica e questa non é gente che vendemmia di professione. Ci siamo infiltrati nel bel mezzo di un rituale familiare.

Il vigneto apparteneva al padre di Franco insieme a un altro pezzo della collina e a quella casa laggiù, oggi venduta e restaurata, ma ancora disabitata.
Mentre iniziamo a recidere i grappoli succosi con delle apposite forbici le sorelle di Franco e la moglie Giovanna ci raccontano episodi della loro infanzia in vigna, il tempo in cui abitavano in quella casa senza elettricità e acqua corrente, quando la nonna allevava bachi da seta sull'enorme gelso che sorge ancora nel cortile. Giovanna ricorda i consigli di suo padre Angelo, il fondatore della Cantina che porta il suo nome, su come procedere in modo ordinato la vendemmia lungo i filari, e descrive i giochi dei bambini che avevano il compito di raccogliere tutti gli acini caduti a terra...
Il tempo si ferma. Rimane solo il profumo dell'uva matura. I cani corrono liberamente per il vigneto insieme ai bambini.
Man mano che si procede si osserva come cambiano i grappoli a seconda della posizione del tralcio: più vicino al bosco e al lato ombroso della collina sono meno maturi, gli acini verdi e meno polposi. Mentre lassù dove il sole illumina i filari fino a sera sono più belli, ricchi e succosi. Si capisce così la profonda differenza che c'è tra il Prosecco doc (coltivato in pianura) e il docg (in collina). La fatica del lavoro in questi vigneti eroici é tutta descritta nei profumi inconfondibili del Valdobbiadene docg. Un succo di storia e di sacrifici. Quelli di una famiglia come questa di Angelo, ad esempio, oggi premiata dal riconoscimento internazionale per l'alta qualità dei suoi spumanti.
Grazie al nostro inesperto contributo la vendemmia finisce presto. Quattro persone in più, per quanto digiune di esperienza e tecnica, possono fare la differenza. E cosi c'è tutto il tempo di allestire una tavolata sotto un vecchio noce. Quel noce da cui spunta, quasi spettrale, una falce, dimenticata lassù appesa chissà quanto tempo fa dal padre di Franco. Il noce ora l'ha inglobata al suo tronco, come a voler conservare anch'esso un ricordo della famiglia che per tanti anni ha coltivato con amore quella terra.
Già, perché sembra proprio che la terra riesca a cogliere le emozioni delle mani che la lavorano. Ed è proprio quella stessa passione per la vite e i suoi frutti che contraddistingue ogni membro della famiglia Bortolin. Una passione estremamente contagiosa e travolgente, che abbraccia con generosità e sincero affetto ogni persona che ne entri in contatto.
Come noi, per un giorno adottati nella vigna dalla famiglia Bortolin. Bere un bicchiere di vino d'ora in poi non sarà più la stessa cosa.

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venerdì 9 settembre 2011

HoneyUSA. In viaggio di nozze con la giornalista

Mi chiedono in tanti come è andata in America. Forse perché chi mi conosce conosce anche la mia spiccata natura anticonsumistica e forse vede con curiosità la scelta di andare negli states in viaggio di nozze.
E per rassicurare gli amici sul fatto che non ho abbandonato la mia linea racconterò alcuni aneddoti e riflessioni su ciò che abbiamo visto e vissuto durante la nostra avventura americana.

Dovevo andarci in America prima o poi. Non si può essere dei veri anticonsumisti, anticapitalisti e anticolonialisti senza aver visto con i propri occhi almeno un pezzo d'America.
Lo dovevo ai miei sogni e ai miei libri. Lo dovevo alle mie idee e ai miei valori.
Lo dovevo alla giornalista che non riesco a smettere di essere nemmeno in viaggio di nozze.
See U soon


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mercoledì 7 settembre 2011

Friendship

Dicono che gli amici si riconoscono nel momento del bisogno. Vero. Ma secondo me si tratta delle stesse persone che ti sono vicine nel momento della gioia. Non sono quelli che ti fanno il regalo più prezioso, ma quelli che arrivano per primi alla tua festa, gli ultimi ad andar via.
Ci sono molti modi diversi di partecipare alla gioia e al dolore altrui, ma non ci sono tante giustificazioni: nei momenti più tristi della vita come in quelli più felici basta guardarsi intorno per quantificare in modo matematico il valore dell'amicizia.
Io non sono brava con i numeri, prendo le misure a spanne. E finisce spesso che i conti non tornino...


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lunedì 5 settembre 2011

Tiramisù vs Francesca 1-1

Ho sempre fatto sapere in giro di non essere brava a cucinare. Non che sia vero. Semplicemente non ho avuto molte occasioni di cimentarmi. Ora é una questione di principio.
Ho cominciato a battermi con il tiramisù: avversario freddo, tradizionale, coinvolto emotivamente perché è il dolce preferito di mio marito. 3 uova, 250gr mascarpone, 55gr zucchero, cacao amaro in polvere, caffè, savoiardi.
Messo giù così sembrava facile.
E invece al primo match ho perso rovinosamente.

I tuorli montati al minipimer con il mascarpone sono impazziti e mi sono accorta troppo tardi che erano da aggiungere anche gli albumi montati a neve: li avevo già buttati nella spazzatura...
Risultato umiliante. Il gusto era quello del tiramisù ma mancava del tutto la consistenza. Me ne sono mangiata una porzione per punizione prima di mandare la sbobba a raggiungere gli albumi...

Ieri si è svolto il secondo match. Impresa compiuta completamente a mano. La crema montata con la frusta e con l'aggiunta degli albumi é venuta una meraviglia: morbida, spumosa. Al posto della squanfida vaschetta di alluminio ho optato per colmare dei bicchieri di cristallo. Una spolverata di cacao amaro. Forse i savoiardi erano un po' troppo imbevuti di caffè ma la vittoria é stata conquistata con generali ovazioni.
1-1
A breve lo spareggio.


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lunedì 29 agosto 2011

I bisbigli del controllore FS

Un uomo sta discutendo con il controllore sul treno per Conegliano. Deve aver appena scoperto che ha diritto ad uno sconto sull'abbonamento del mese prossimo se presenta l'abbonamento dei mesi precedenti. E dal tono della sua voce mi sa che lui, come praticamente tutti, l'abbonamento del mese di agosto non l'ha fatto perché è andato in ferie e quello dei mesi prima deve averlo buttato via.
Dello sconto di circa il 40% a me ne ha parlato l'altro giorno un altro controllore sussurrandomelo quasi di nascosto dagli altri passeggeri. Non ho visto alcun cartello in stazione, nessun annuncio dagli altoparlanti.

Forse le Ferrovie dello Stato sperano che siano in pochi ad aver saputo del diritto allo sconto a causa della multa presa dalla Regione. E soprattutto lo dicono oggi nella speranza che in tanti non abbiano conservato il vecchio abbonamento...
Ma io sta volta sono stata più furba di loro e quindi mi becco il mio 40% di sconto. Lo prendo per una richiesta di scuse per tutti i ritardi che mi sono subita....


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giovedì 25 agosto 2011

Si può sognare la routine?

Alterno momenti di euforica volontà di condivisione ad altri più angusti istinti di ritiro a vita privata. Niente più facebook, niente più blog, niente solite attività. Ho voglia di normale routine e di condividerla con pochi, fidati, fedeli e preziosi amici e familiari.

Ho sognato questa routine da sempre: una casetta tutta per noi, una cucina da imparare a conoscere, tante piccole cose da fare ogni giorno. Routine domestica. Il matrimonio non è forse anche questo? E io ho sognato da sempre il matrimonio e quindi da sempre ho anche sognato tutto questo. Fare la casalinga non é mai stata una mia ambizione, ma gestire una casa fa parte della vita. E io voglio farmelo piacere.
Mi piace avere pulito intorno a me e si prova una grande soddisfazione nell'osservare i risultati dei propri sforzi domestici. Mi piace dare l'acqua alla mia piantina e ripiegare in armadio i vestiti appena stirati.
Ora che tutto è nuovo sembra quasi piacevole. So che presto si trasformerà in un peso, ma io sono una che ama gustarsi le cose cosi come sono, come vengono, come un caffè amaro. Me le voglio godere adesso per quel poco di gioia che possono darmi.

Mi voglio godere un po' di meritato egoismo. Troppe sono le delusioni che mi sono piovute addosso da parte delle persone, pochi, davvero pochi sono gli amici che si possono definire tali e con i quali ho voglia di condividere adesso questa mia nuova meravigliosa routine.
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martedì 23 agosto 2011

Una pace assolutamente reale

Un mese fa era il giorno del mio matrimonio. Una giornata splendida iniziata con un tempaccio e un freddo inaspettato per la stagione. Ma io ero serena come non mai. Non mi interessava assolutamente nulla del tempo. Un mese fa, il fotografo è arrivato in ritardo perché non trovava casa mia. Gli è caduta la macchina fotografica sul piede e si è pure fatto male. Ma nelle foto ero sempre sorridente. Non mi interessava assolutamente nulla del suo ritardo. La Alfa rossa di mio papà ci ha accompagnato fino alla chiesa, lì dietro l’angolo, tutti e quattro: mia sorella, mia mamma, mio papà ed io. Come andassimo ad una gita. Tranquilli.
E poi davanti alla chiesa amici inattesi e sorrisi. L’affetto della nostra parrocchia di sempre, degli amici di sempre, dei parenti, del coro. Non mi interessava nulla al di fuori di quella chiesa. Tutto ciò che avevo di più caro era lì presente e partecipe.
Una pace surreale. Anzi no, una pace assolutamente reale.
Abbiamo ricevuto un dono grande dal cielo e da tutte le persone che hanno condiviso con noi la gioia di quella giornata.
Grazie...

venerdì 22 luglio 2011

margherite

Alle pareti ho appeso l'affetto.
L'amicizia l'ho riposta sulle mensole della libreria.
Nei cassetti ho adagiato ricordi e speranze.
In valigia ho messo sogni dall'orizzonte sconfinato.
La casa trasuda la nostra voglia di iniziare una nuova vita.

Ho addosso la leggerezza di una libellula.
La pace di una margherita.
Tante margherite.

venerdì 24 giugno 2011

Click... solo una grande gioia

La soglia di un mese prima è stata superata. Cerco di non farmi sopraffare dalle migliaia di cose da fare e ricordare e pensare: voglio godermi ogni singolo istante. Assaporare ogni piccolo grande passo avanti, osservare con soddisfazione come la mia vita piano piano stia cambiando, in meglio… Osservare i piccoli grandi gesti delle persone che mi sono vicine in questo momento, cercare di glissare sulle mancanze e sulle cose che non sono come vorrei... Solo sogni belli.
A partire dalla nostra casetta che comincia a prendere forma, rispecchiando un pezzo dopo l’altro la nostra personalità, i nostri gusti, i nostri colori. Non sempre è facile trovare l’accordo e quindi ne esce fuori una casa molto eclettica, esattamente come noi, una sintesi perfetta di quella diversità e complementarietà che ci ha permesso di arrivare insieme fin qui dopo 14 anni. Modernità ed elementi classici, tradizione e tecnologia, i ricordi dei miei viaggi e quelli della nostra storia ma soprattutto ironia, colore e un po’ di sano “arrangiarsi”, tipico di noi che siamo gente da campeggio e da viaggi all’avventura…

Anche il viaggio è quasi del tutto a posto, l’attesa estenuante per le carte di credito (che sono un'invenzione infernale e che disattieveremo non appena rientrati), la patente internazionale per guidare nel deserto dei Mohave in direzione Grand Canyon, pile di guide e di libri sui villages di New York e la storia dell’immigrazione americana. Ho ripescato i miei vecchi libri consumati sulla storia degli Indians native, ho trovato itinerari e percorsi lungo la route 66 e poi ho comprato un bel diario corposo… 

Non vedo l'ora che sia quel giorno, ma allo stesso tempo vorrei dilatare un pochino questa attesa per poterla assaporare meglio... Ci sarebbero così tante cose da annotare, ma l’unica cosa che riesco a scrivere in questo momento sono delle lunghe liste di cose da fare e di persone a cui telefonare. Nel frattempo capitano un sacco di cose meravigliose che vorrei fotografare una ad una per portare con me per sempre il ricordo di questi giorni…
Click…il copriletto che mi ha comprato la mamma al mercato e che mi assomiglia più di qualsiasi altra cosa in quella casa. Click… il vestito che finalmente calza alla perfezione e la signora Mirella quasi commossa… Click... il libretto della messa da correggere che ogni volta che lo leggo mi emoziono… Click… amici e parenti che dimostrano in mille modi il loro affetto… Click… le lenzuola che mi ha regalato la nonna finalmente nell’armadio, come sarebbe felice di vederle finalmente al loro posto…

A volte mi prende un po’ l’ansia e la mia paura irrazionale di perdere il controllo della situazione. Panico. Ma so che non succederà. Nella mia vita mi sono sempre goduta al massimo i momenti più forti ed emozionanti, dagli esami di maturità alla laurea. Come entrare in scena sul palco: l’emozione dei 5 minuti prima mi farà tremare le gambe, poi ci sarà solo una grande gioia. 

giovedì 9 giugno 2011

lista nozze

Divertente, faticosissimo e un po’ imbarazzante fare spese con i soldi degli altri. Cioè scegliere dei prodotti che molto probabilmente qualcuno ti regalerà. Insomma fare la lista nozze.
Trovo che la lista nozze sia una trovata assolutamente intelligente. Dal punto di vista pratico, soprattutto: si sa che quando ci si sposa parenti, amici e conoscenti solitamente ti fanno un regalo. Quindi inutile far spendere loro soldi per cose che magari agli sposi non piacciono o che si trovano doppie. Così si ottimizzano energie e in fondo anche soldi, che quindi vengono spesi bene in ogni caso, con la garanzia di rendere felici i destinatari.

Ho trovato spassoso girare per i reparti della SME pensando alle cose che potrebbero servirci in casa. La commessa divertita diceva che ormai sono davvero rare le coppie che fanno la lista nozze partendo da zero come noi. Ormai il 99% delle coppie sceglie prima di convivere e quindi molti oggetti se li compra prima. Quando arriva il momento di sposarsi si accorgono che hanno già tutto e quindi magari optano per ricevere come regalo un contributo per un viaggio di nozze.

Noi siamo i più fighi di tutti, abbiamo fatto sia questo che quello.

Certo, una cosa va detta: prima di decidere di sposarci e tutto il resto abbiamo fatto due conti, abbiamo visto cosa potevamo permetterci di fare e cosa no. Casa, viaggio, festa... Abbiamo prima studiato l’opzione “facciamo tutto da soli” e abbiamo visto che volendo avremmo potuto farcela, ovviamente semplificando molte spese... Poi un po’ alla volta sono arrivati gli “aiuti”.
Lo stesso ragionamento l’abbiamo fatto per la lista nozze e la lista viaggio. Pensiamolo come se dovessimo pagare tutto noi. Le cose cambiano, si evita di strafare, si scelgono le cose davvero importanti, si evitano gli sprechi, ci si sofferma su ciò che piace ma con un occhio anche al prezzo.

E’ brutto fare i conti in tasca alle persone. Ho sempre odiato questo aspetto dei matrimoni.
Inviti le persone con le quali hai piacere di stare insieme, comunichi la notizia a chi hai piacere di dirlo. Quando abbiamo scritto i nomi sulle buste delle partecipazioni abbiamo pensato semplicemente a quelle persone che avremmo avuto piacere di avere vicino al momento della cerimonia per condividere con noi quel momento di gioia. Tutto qui. E neanche tutte. Perchè di persone con le quali condividere quel momento ce ne sarebbero state tante altre, ma abbiamo dovuto fare una selezione per ovvi motivi di budget!
Quindi nessun ragionamento di interesse, anche se purtroppo devo constatare che le persone che ricevono la busta con la partecipazione mi danno l’impressione di pensare “ecco, mi tocca fare il regalo”. Nessuno lo dice, ovviamente, ma probabilmente è una mia paura.

Alla fine del giro resta però il fatto che i conti in tasca alla gente li fai eccome, nel timore che le cose che hai messo nella lista siano troppe o troppo poche, a pensare se davvero verranno spesi tanti soldi, se non è esagerato, se è davvero utile...

Combattuta. Da una parte penso che tutto questo fa parte di una logica consumistica che vincola le persone a costruire relazioni quantificabili con il valore di un regalo, e che sarebbe da combattere con comportamenti controcorrente. Dall’altra penso che invece di quei regali ne abbiamo bisogno, forse non di tutto, ma che ce le dovremmo comprare comunque quelle cose, visto che partiamo da zero, penso che in fondo è bello costruire una famiglia mettendo insieme oggetti di uso quotidiano che ti regalano amici e parenti, è un modo per sentirli vicini in questa occasione, durante il viaggio e tutte le volte che userai quell’oggetto, umile o di prestigio che sia. Non ha importanza.
E poi penso che dobbiamo sì essere distaccati dai beni materiali, ma che la bellezza si esprima anche in questo, che l’estetica e il gusto per le belle cose non sia un peccato se vissuto con sobrietà.
Un po’ come quando da bambina scrivevo la letterina a Babbo Natale sono emozionata nell’attesa e come un bambino spero tanto che quei regali arrivino. Ti prego ti prego ti prego, stringendo i pugni, come in un capriccio.
In effetti è un po’ un capriccio, ma una volta ogni tanto farà poi così male essere un po’ indulgenti con se stessi e ammettere sinceramente che non vedi l’ora di scartare i pacchetti?

mercoledì 8 giugno 2011

anche partendo da zero...

Quando ad agosto scorso eravamo su quella spiaggetta di Dubrovnik, vicino agli scogli e al tramonto, pensavamo “Chissà se ce la facciamo... Con contratti a tempo determinato, senza un soldo, siamo sicuri di riuscire a farcela da soli? Riusciremo a fare un mutuo? Riusciremo a pagare un affitto, le bollette, le spese? E il matrimonio? Riusciremo a organizzare la festa? ".

Non siamo mai stati dei conformisti, “faremo quello che possiamo” ci dicevamo. Il matrimonio per noi non è quella cosa mostruosa che si vede nei film e nei programmi di wedding planner. Il matrimonio è una cerimonia, serve un sacerdote e dei testimoni. Abito, fiori, addobbi, musica, pranzo, bomboniere…. sono tutte cose non indispensabili, piacevoli ma non indispensabili. "Andremo a risparmio, chissenefrega delle cose superflue". Ridevamo, ma non era una battuta: effettivamente ci si può sposare anche senza un soldo. E per vivere ci basta quel che abbiamo. “Lavoriamo entrambi, non prenderemo chissacchè ma un affitto lo possiamo pagare. Magari non compriamo casa, magari  andiamo in affitto in un mini, magari arredato, magari risparmiamo su tante cose, forse possiamo farcela”.

La voglia di stare insieme è più forte del conformismo. Per fortuna.
Quando pensavo a queste cose, forse un po’ da incosciente non ero mai troppo preoccupata. E non lo sono tutt’ora che manca così poco e ci sono ancora un sacco di cose da fare!
Pole pole, dicevano in Africa. Piano piano e si fa ogni cosa.
Pensi di partire da zero e di non avere nulla, invece hai tutto.

convivenza

Conosco molte coppie che convivono o hanno convissuto, che hanno scelto di non sposarsi, di sposarsi civilmente o di temporeggiare. Per fortuna – e dico per fortuna – viviamo in un momento storico nel quale non siamo mai stati più liberi di scegliere le forme dello stare insieme. La società in cui viviamo ci permette di fare allegramente e senza grandi drammi familiari qualsiasi scelta.
E io che sono un’anticonformista per natura alla fine mi ritrovo a fare la scelta più tradizionale: sposarmi in Chiesa e senza convivere prima.
Ho trovato parecchie persone stupite del fatto che io e Marco abbiamo deciso di sposarsi senza nemmeno ipotizzare la convivenza. Dicono in tanti che quando si vive insieme le cose cambiano. E questo lo sappiamo bene. Le cose cambiano in continuazione man mano che passano gli anni e che la vita quotidiana ti assorbe di impegni sempre diversi: prima c’era la scuola, poi l’università, poi il lavoro e un domani ci sarà la casa e la famiglia. Nuovi equilibri sempre da ricercare insieme.
Io non giudico le scelte di nessuno, anzi. Penso che ciascuno debba sentirsi libero di fare una scelta motivata e consapevole e soprattutto coerente con i suoi principi.
Io per fortuna non ho avuto alcun tipo di contrasto con Marco su questo fronte. Grazie al cielo non si è mai posto un problema di contrapposizione di principi religiosi sul matrimonio. Abbiamo la stessa identica concezione. Troppo facile.

Eppure mi chiedo lo stesso perchè mai non avrei dovuto prendere in considerazione la convivenza.
Una risposta può essere il fatto che ci conosciamo talmente tanto che non ho bisogno di viverci insieme per decidere. Appena possibile ci sposiamo. Ovvio. Perchè dovremmo temporeggiare?
Abbiamo fatto una scelta di "per sempre" da sempre. Gli alti e bassi ci sono stati e ci saranno, li abbiamo superati insieme e insieme ne supereremo altri se abbiamo la medesima prospettiva del "per sempre".
Non avrei mai potuto accettare di sentirmi messa alla prova dalla convivenza, come un oggetto che potrebbe essere difettoso. Non mi piace l’idea della possibilità di resa con lo scontrino. O si acquista il pacchetto completo o niente. Massima trasparenza, nessun segreto. Pienamente informato in anticipo sui difetti di fabbricazione. Prendere o lasciare.

Solo l'uomo della mia vita potrebbe accettare una simile condizione.


Il matrimonio è un per sempre e per tutto.  Sarà anche esigente, ma l'amore mi piace solo se incondizionato. A tempo pieno e a tempo indeterminato.



giovedì 19 maggio 2011

quotidianità straordinaria

Quando hai di fronte la persona giusta non ci sono film o romanzi che tengano. 
La realtà supera la fantasia. E non ci sono altre parole. 

Ecco perchè non amo i romanzi, ma prediligo i reportage: sono abituata ad una quotidianità troppo straordinaria per emozionarmi di fronte alla finzione.

lunedì 2 maggio 2011

La vera "lezione" che dovevamo dare a Bin Laden...

Gli americani che festeggiano davanti alla Casa Bianca la morte di Bin Laden non sono migliori di quegli arabi che festeggiavano il crollo delle Twin Towers. Mi danno il disgusto.
Non che io abbia mai fatto il tifo per AlQuaida, sia chiaro, ma non saremmo stati tutti più contenti di saperlo arrestato e messo in un carcere di massima sicurezza, sottoposto a un processo per crimini contro l'umanità davanti agli occhi digitali del mondo? Non sarebbe stata questa la vera vittoria dell'occidente contro il terrorismo?

Per uccidere Bin Laden gli americani ci hanno messo 10 anni, trascinando in una guerra infinita la popolazione dell'Afghanistan che di certo non sta meglio ora di quanto non stesse prima. Per vendicare i circa 3000 morti dell'attentato dell'11 settembre gli Usa hanno ucciso una cifra compresa tra 200.000 e 1milione di persone, tra cui migliaia di civili, donne, bambini...

Non mi rende felice la notizia della morte di Bin Laden, come non potrebbe rendermi felice la notizia della morte di nessuno. Abbiamo costruito con fatica e sudore e sangue una civiltà del diritto come fondamento della democrazia in cui tanto sbandieriamo di credere e poi, proprio quando abbiamo la possibilità di dare una "bella lezione" a colui che è considerato il nemico numero uno della democrazia e della civiltà occidentale che facciamo? usiamo le sue stesse armi: la violenza, la morte.

Sono davvero convinta che prenderlo vivo e fargli un giusto processo avrebbe dimostrato davvero la superiorità della civiltà, delle leggi e della democrazia occidentale. Non per buonismo, ma perchè se mettiamo i diritti umani come principio fondante della nostra civiltà la persona umana è da rispettare sempre. La pena di morte non è ammessa mai. E gli americani continuano a cadere su questa contraddizione, da sempre, pur facendosi tanto promotori della democrazia e dei diritti...

Se la guerra e la pena di morte restano ancora l'unica soluzione dei nostri problemi, allora non abbiamo proprio niente da festeggiare, non siamo vincitore di niente.

La democrazia, la civiltà del diritto, la cultura dei diritti dell'uomo non ha vinto neanche questa volta.
Hanno vinto ancora i terroristi.

martedì 26 aprile 2011

Chernobyl, 25 anni di male invisibile

Si celebra oggi, 26 aprile 2011, il 25esimo anniversario del disastro di Chernobyl. Un anniversario celebrato con una nuova catastrofe nucleare, la controversia sul numero delle vittime, l’emergenza strutturale del sarcofago, l’impegno del mondo a fianco delle popolazioni colpite. Per non dimenticare.

Il mio articolo pubblicato oggi su www.ilcambiamento.it

26 Aprile 1986 - 26 aprile 2011: forse qualcuno sperava quest’anno di celebrare in sordina il 25° anniversario del disastro nucleare di Chernobyl. Invece la tragica coincidenza con una nuova altrettanto grave catastrofe avvenuta agli antipodi ha costretto il mondo a una riflessione profonda, a riabilitare alla memoria quel male invisibile che ha pervaso l’Europa e in particolare le città e i villaggi a cavallo tra l’Ucraina e la Bielorussia, i più contaminati dal fallout radioattivo proveniente dal reattore numero 4 di quella che doveva essere la più grande centrale nucleare del mondo, la centrale “Lenin”.

Un male invisibile, quello delle radiazioni, impercettibili, inodori, insapori, che in questi 25 anni è scomparso anche dalle statistiche. Ancora controverso è infatti il numero delle vittime: 2 tecnici della centrale morirono immediatamente in seguito all’esplosione, altre 29 persone, per lo più vigili del fuoco accorsi nei primi istanti sul luogo dell’incidente, spirarono all’ospedale. 65 morti accertati nei primi giorni, 134 tra l’87 e il 2005. Ma sono molti di più. Il gruppo dei Verdi del Parlamento Europeo ha stimato circa 30.000-60.000 morti nel giro di 70 anni dal disastro, Greenpeace ha previsto una cifra ancora più catastrofica: 6 milioni di vittime.
Non si giungerà mai a una conta definitiva, le radiazioni colpiscono gli organi interni causando malattie e tumori difficilmente riconducibili alla contaminazione nucleare. Un’emergenza sanitaria che riguarda circa 10 milioni di persone, attualmente residenti in una zona dove le radiazioni sono superiori alla noma e che continuano ad alimentarsi di prodotti contaminati. Le conseguenze di tale contaminazione sono difficilmente monitorabili e si ripercuoteranno per generazioni.

Tra le azioni più urgenti resta la ricostruzione del sarcofago che imprigiona il reattore numero 4. Progettato per durare 30 anni, da tempo la pesante copertura presenta crepe e fessure dalle quali fuoriescono vapori radioattivi che si disperdono in continuazione nell’atmosfera. Fin dai primi anni ’90 l’Unione Europea si è attivata per reperire i fondi da destinare alla costruzione di una struttura di contenimento in grado di mettere in sicurezza il reattore che contiene ancora il 95% del materiale radioattivo presente al momento dell’incidente.
Il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-Moon si è recato a Chernobyl pochi giorni fa e ha partecipato ad un incontro a Kiev durante il quale si sono decisi gli stanziamenti per la costruzione del sarcofago. Per i lavori sono necessari circa 750 milioni, l’UE contribuirà con 110 milioni di euro. La cifra rimanente dovrebbe essere messa a disposizione dal governo di Kiev, almeno stando a quanto annunciato dal Commissario europeo per lo sviluppo Andris Piebalgs lo scorso 19 aprile alla conferenza di Kiev.

Mentre l’attenzione del mondo si è spostata in estremo oriente, sono numerose le associazioni, in questi 25 anni a fianco delle popolazioni colpite dalle radiazioni di Chernobyl, che vogliono mantenere vivo il ricordo e soprattutto l’impegno di solidarietà. Soprattutto a fianco dei bambini. Continua l’intensa attività di ospitalità in Italia dei ragazzi bielorussi a scopo di smaltimento delle radiazioni accumulate nel fisico (Help for Children, Aiutiamoli a Vivere, Un sorriso per Chernobyl, Bambini di Chernobyl sono solo alcune delle numerosissime realtà distribuite sul territorio che agiscono da oltre 20 anni per i bambini colpiti).
Greenpeace ha lanciato il sito Generazione Cernobyl http://www.generazionecernobyl.org/public/, sul quale le persone potranno scrivere e condividere il proprio ricordo di Chernobyl accompagnandolo con una foto o registrandolo in un video messaggio.
L’obiettivo è ricordare gli effetti che un disastro nucleare può avere sulla vita di tutti. Perché il male invisibile prenda corpo e si manifesti con tutte le sue tragiche conseguenze agli occhi del mondo. Una lezione che è necessario ripetere, maggiormente dopo quanto accaduto a Fukushima perché, evidentemente, il mondo non l’ha ancora imparata.

Francesca Bellemo

lunedì 25 aprile 2011

acqua viva

Ho percorso chilometri eppure mi sembra di ritornare sempre allo stesso punto, allo stesso posto, su quell'angolo di altare che è da più di 20 anni la mia casa, confortevole e profumata.
Seduta da 20 anni su quella stessa panca di legno, a sfogliare il libretto dei canti, mi sento che sono compiuta, nonostante i miei sogni mi abbiano fatto vagare più lontano. A volte troppo.
Ma dove voglio andare?
Non desidero veramente nient'altro che restare su quella panca a scrutare l'assemblea, ad assimilare insegnamenti, a sorridere sguardi sinceri e spontaneamente buoni. Qui sopra gli unici problemi sono gli attacchi di un canto, un accordo stonato, il non sapere se il Padre Nostro lo farà cantato o no.

Più viaggio distante, con gli aerei e la fantasia, più torno volentieri a casa. Più cerco una realizzazione nel mio lavoro, nei miei hobby, nei miei mille impegni, più scopro che lontano da questo altare non trovo nulla che sappia estinguere la mia sete.
In fondo non sono affatto ambiziosa. La mia massima ambizione è la serenità. La pace.
La mia più grande rivoluzione partirà proprio da questo altare. Perchè qui ho trovato l'acqua viva, quella capace di estinguere la mia sete.

venerdì 15 aprile 2011

Honey moon, honey wheel

Indiani e cowboys, i tanti libri letti quell’estate del 97 nella casa di montagna di Fiera, con i nonni. Le puntate, a memoria, della Signora del West, il maglione di lana fatto a ferri davanti alla tv. Gli stivali texani comprati nel 98 in quel negozietto a Venezia. Il massacro dei nativi e la mia guerra aperta con il generale Custer. L’acchiappasogni. Balla coi lupi. E poi i cd di musica country, i primi regali fatti a Marco, il cravattino. 
I Fragile e John Denver. “Stand by your man”, “Sunshine on my shoulders”, “Take me home country roads”.

Riaffiorano vecchi ricordi e pezzi della nostra storia. 15 anni fa questo era il mio mondo, questi erano i miei sogni. La musica, le prime battaglie contro l’ingiustizia, gli orizzonti sconfinati.

Poi è arrivato il gospel, il blues e le storie sulla deportazione degli schiavi dall’Africa nera. E mentre ho finito la scuola e l’università e ho iniziato ad addentrarmi nel mondo del lavoro è arrivata l’Africa. All’improvviso. 
E con l’Africa i miei poveri e i loro sorrisi. 
Dalla parte della povertà e della pace ho a lungo visto l’America come un malfattore della storia, dalla Guerra del Golfo all’Afghanistan. Ho condannato il suo consumismo sfrenato, ho studiato la Guerra Fredda. America. Punto di partenza e di arrivo, di scontro e di incontro. 
Ho imparato Russians di Sting.

I miei studi, il mio lavoro, i miei viaggi, le mie battaglie sono passate di continente in continente. Senza accorgermene hanno seguito una traccia, forse un vero e proprio solco. Imprescindibile. Dai nativi americani agli africani della savana, tornando in Europa per raccontare il dramma di Chernobyl. Di violenza in violenza. Di vittima in vittima. Dalla parte degli ultimi. 
Poi il ritorno alla base. E tutto riemerge e riaffiora. Con il senso di colpa di scoprirsi immersi fino al collo dentro l'americanità. One more car one more ride. Come una ruota che gira. Ora è il momento di cominciare una nuova vita ripartendo dal via. Da dove è iniziato tutto. 

Alla fine non sono diventata una cantautrice folk ma forse qualche vecchio sogno nel cassetto riuscirò a realizzarlo … Monument Valley, Grand Canyon, Route 66… I’m coming home!!!!

mercoledì 13 aprile 2011

in degustazione

Profumi inebrianti più che liquidi alcolici. Mi sono concentrata sugli odori e sulla fantasia che essi evocano. Approccio da principiante. Sa di mela, miele, banana, ciliegia, legno.
Nei calici di vino che ho degustato al Vinitaly quest'anno, nel piccolo tour fatto sabato con gli amici, ho apprezzato in particolare la dolcezza, di cui tanto sente la mancanza il mio palato. Lo so, dicono che i palati fini preferiscono il brut. Ma io voto extra dry, se parliamo di Prosecco Superiore di Valdobbiadene DOCG.
Mi sento come Alice nel paese delle meraviglie. Non ci capisco granchè. Però mi piace.

Ho vagato dal Veneto alla Puglia arrendendomi definitivamente alla Sicilia e ai suoi passiti e a quel nettare indescrivibile del marsala alla mandorla di Alagna. (Era da un anno che lo aspettavo!)
Il mio viaggio nel mondo del vino è appena iniziato, solo un anno fa vivevo l'esperienza del mio primo Vinitaly, pochi mesi fa il primo corso di degustazione, i primi concetti base sulla viticoltura, i primi testi e comunicati stampa, corretti e ricorretti finchè non ho cominciato a capire di più... Doc e Docg, cuvèe, perlage, vinificazione in bianco di uve nere, metodo Charmat, e poi tappi in sughero (rigorosamente), lotta al Tca, microssigenazione...

Dai libri di storia e filosofia alla terra, in po' come gli intellettuali cinesi ai tempi della rivoluzione culturale. Dalla cronaca vorace dei media allo scorrere lento delle stagioni in attesa della vendemmia.

Il vino mi stupisce ogni giorno di più. E più che il vino in sé il suo substratum, il dietro le quinte, la passione dei viticoltori e degli enologi che difendono il frutto della terra che amano.
Come l'artista ama la sua opera d'arte, esattamente.
Osservo divertita questo mondo, incuriosita dalla sua dimensione umana e sociale, stupita di fronte al suo impatto economico.
Ammaliata dai suoi colori e dai profumi.
Addolcita - e ne ho bisogno - dai suoi aromi.

venerdì 1 aprile 2011

gioia colpevole

Alterno momenti di estrema serenità, di gioia, a momenti di folle angoscia.
Dopotutto deve essere normale con quello che accade nel mondo. E non sono angosciata per le piccole cose che riguardano il matrimonio, come dovrebbero fare tutte le spose al pensiero che tutto sia a posto, che ci sia il sole, che non ti venga da piangere o da svenire, che non ti impappini nel consenso, che non ti si sporchi il vestito, etc....
La vera angoscia che provo in questi giorni non ha nulla a che fare con il matrimonio. E' una cosa più profonda.
La mia è un'angoscia globale. Temo il futuro. E non per me, ma per i miei figli, i miei nipoti.
Ho paura delle guerre, della fame, delle catastrofi, delle tragedie. Sento addosso il peso della storia. E più leggo, più studio, più mi informo su quello che è accaduto ieri e che sta accadendo oggi nel mondo più mi sento greve, abbattuta nel mio ottimismo infantile.

Mi rallegro per aver in mano la bozza degli inviti di nozze e allo stesso tempo provo angoscia per le popolazioni in guerra, per i migranti in mezzo al mare, per i giapponesi condannati in eterno dalle radiazioni, per tutti noi che ci stiamo avvelenando per colpa dell'industralizzazione alimentare.

Non ci devi pensare. Non ci devi pensare. Non ci devi pensare.
Pensa solo alla tua gioia, sennò impazzisci.
Ma più la mia gioia diventa palpabile, più mi sento in colpa perchè sono felice.

lunedì 28 marzo 2011

il valore affettivo della polvere

Temevo fosse un'esperienza triste quella di tornare nella casa dei nonni, dopo mesi che se ne sono andati. Invece è stato piacevole, dolce. La grande casa impolverata ha appesi alle pareti e ai mobili e ai soprammobili i ricordi della mia infanzia, i giochi e i sogni. Nessuna nostalgia del passato però, nonostante la loro mancanza si faccia sentire spesso. Li sento vicini e presenti e soprattutto sono certa stiano vivendo ancora.
Mi hanno accompagnato ieri mentre cercavo qualcosa da portare con me nel mio nuovo viaggio. Qualche vassoio, bicchieri, posate, qualche soprammobile con il quale giocavo da piccolina come le nacchere, il campanaccio, lo schiaccianoci di legno.
Poche cose di valore, per lo più ricordi, oggetti con valore affettivo. Questo è ciò che rimane di noi dopo che ce ne siamo andati?
I libri di poesia del nonno. Quanti. E qualche vestito della nonna che sembra calzarmi a pennello. Una camicia da notte di seta che sembra essere quella del corredo nuziale.
Mi è parso di vederli sorridere mentre ammucchiavo su un angolo poche cose da portare nella mia nuova casa. Una parte della loro storia, della loro vita verrà via con me.
Il cassone del corredo nuziale della nonna, impolverato, seminascosto tra le cose da buttare via, mi ha fatto l'occhiolino nella speranza di accompagnare anche me in una vita lunga e bella come la loro...

sabato 26 marzo 2011

Radiazioni, il male invisibile

La radioattività è infima e subdola. Non si vede, quindi non fa paura.
Non è spaventosa come il terremoto, non è devastante come uno tsunami. Ma è molto più crudele, attacca più in profondità e potenzialmente può causare molti più morti di terremoto e tsunami messi insieme.
Ti diranno di non allarmarti, ti diranno che quel territorio non è contaminato, che non ci sono rischi per la tua salute e se mai ti ammalerai ti diranno che non puoi dimostrare che sia colpa delle radiazioni.
Il nucleare non fa abbastanza paura solo perchè la radioattività è impalpabile, trasparente, inodore.
Siamo nella società dell'immagine. Abbiamo bisogno di visualizzare il male per temerlo.
Abbiamo bisogno della musica di sottofondo.
Come siamo all'antica.

martedì 22 marzo 2011

wedding planner

Bello organizzare il proprio matrimonio per una come me che organizza eventi di mestiere.
Un piano di azione dettagliato sempre sottomano, una lista di priorità, contatti, contatti, contatti. Un'agenda moleskine che scoppia e siamo appena a marzo.
Idee, numeri di telefono, nomi, promemoria, cose da fare appuntate su centinaia di post it colorati.

Dicevano che era uno stress, ma io mi sto divertendo molto a costruire mattoncino alla volta i vari dettagli che comporrano il giorno del mio matrimonio e i giorni futuri.
Ci sono milioni di cose da pensare tutte insieme, ma sono tutte cose così belle e piacevoli che se non ci si fa stressare da tutti quelli che vogliono darti consigli diventa un vero e proprio momento di piacere.
Parola d'ordine: facciamo a modo nostro, quello che ci piace, quello che possiamo, quello in cui crediamo.
Il matrimonio in chiesa, una festa all'insegna della semplicità, simboli studiati, scelte motivate, sobrie, etiche.

Bello scoprire di essere d'accordo sulle cose più importanti. Bello immaginarsi il futuro insieme.
Bello appendere al cielo i desideri e vederli avverarsi così velocemente.
Bello fare il wedding planner di se stessi.

domenica 20 marzo 2011

Un piccolo castello azzurro

Una cucina in legno azzurro pastello e una terrazza al sole dove si può anche mettere un tavolino per mangiare. Una bella camera spaziosa, uno splendido tavolo in noce da 8 per invitare a cena gli amici e i parenti e poi lì, su quella parete c’è tutto lo spazio per la libreria che ho sempre sognato. Bisognerà andare all’Ikea a comprarla.
Abbiamo finalmente trovato una casa, la nostra prima casa.
E’ un mini, in affitto, arredato. Il massimo che ci possiamo permettere per cominciare a costruire la nostra famiglia. Ma a me sembra un castello.
Un piccolo castello azzurro.
Dalla terrazza si vedono le montagne all'orizzonte e si può salutare il sole mentre tramonta ad ovest.
Di tutte le case che abbiamo visto questa era decisamente quella più bella e spaziosa e per essere un punto di partenza è decisamente un bel punto di partenza.
Lo so, lo so, tendo sempre a vedere tutto più bello di quel che è.
E’ un mio limite, a volte una mia fortuna.
Non posso farci niente se le piccole cose mi rendono felice quanto basta da farmi dimenticare gli aspetti negativi. Abiteremo in un piccolo castello azzurro, io, il mio principe azzurro e tutti i miei libri.
Se non è un sogno questo…

giovedì 17 marzo 2011

Finchè soffia il vento di Fukushima

Ho appena pubblicato un libro per raccontare le conseguenze della catastrofe nucleare di Chernobyl, 25 anni dopo, per raccogliere le testimonianze delle tante famiglie italiane impegnate in progetti di solidarietà a favore delle vittime delle radiazioni che continuano ad essere vittime anche e soprattutto dopo 25 anni.

Quando ho iniziato a scriverlo, quasi un anno fa, non sapevo granchè di nucleare, di problemi sanitari o di implicazioni energetiche e politiche prima di divorare qualche decina di libri sull'argomento. Ero partita volutamente senza pregiudizi per potermi creare una mia personale opinione sulla vicenda.
Leggere la cronaca del disastro del 1986, scoprire che la popolazione era stata tenuta all'oscuro di tutto per giorni, analizzare i rischi per la salute sul lungo, lunghissimo periodo è stata per me davvero dura a livello emotivo. Entrare dentro alla tragedia passando per i volti, i ricordi e le paure di chi l'ha vissuta in prima persona è un'esperienza che segna in profondità, che fa venir voglia di urlare, di piangere.

Ma seguirla in diretta sullo schermo di un pc, mentre sei al lavoro e scrivi comunicati stampa su vino ed eventi gastronomici, sbriciando di tanto intando le strisce che scorrono sulla diretta di Rainews... è una cosa straziante.

Sono impotente, muta ma con un sacco di cose da dire.
Leggo con avidità le notizie pregando perchè la situazione non si aggravi ulteriormente, perchè il peggio sia scongiurato, ma so che non è così. Mi sento attraversare dalla disperazione composta del popolo giapponese, come fosse la mia. Mi manca il respiro.

A volte vorrei non aver studiato, non aver saputo, non aver memoria, non avere conoscenza della storia, per non sentire il peso di ogni dramma dell'umanità sulle spalle. Sono fin troppo consapevole di ciò che sta accadendo a Fukushima che mi fa paura svegliarmi al mattino, che mi viene voglia di urlare, di piangere.

Sono arrabbiata, furiosa, perchè troppe persone dimenticano il passato, perchè non si conosce la storia, non si impara nulla dalla storia. Si finisce col fare i soliti stupidi errori di calcolo.

Anche questa volta, come sempre, mentiranno dicendo che non era stato previsto.

mercoledì 16 marzo 2011

Una traversata lunga 14 anni

Abbiamo sempre voluto sposarci. Non serviva chiederlo. Io avevo circa 15 anni, Marco quasi 17 e se vado a sfogliare la vecchia Smemo 1997 trovo già scritto questo sogno.
Probabilmente siamo stati fortunati, probabilmente siamo stati duttili, probabilmente ci abbiamo messo tutto il nostro impegno. Sarà anche poco romantico ma sono sempre stata convinta che il sentimento da solo non porti lontano. E secondo me l’amore è anche volontà, impegno, determinazione. Non solo, ma anche.

E’ un po’ come il nuotatore che attraversa la vasca: all’inizio ha la spinta del tuffo che gli dà energia, che lo va viaggiare veloce, che lo fa quasi volare, poi un po’ alla volta l’inerzia finisce e comincia a farsi sentire l’attrito dell’acqua, che sono le tante difficoltà della vita, le divergenze di opinione, di carattere…. Se il nuotatore non avesse la volontà e la determinazione a giungere alla fine della vasca finirebbe per arrendersi a metà. E invece… se uno si pone degli obiettivi, se uno è disposto anche a fare fatica pur di finire la vasca poi al termine della sfida con l’acqua la sua emozione sarà ancora più grande dell’inizio.

Abbiamo nuotato insieme in molte vasche in questi 14 anni, non senza incontrare correnti contrarie. Ci siamo fatti le spalle robuste a forza di bracciate. E la resistenza. Abbiamo fatto fiato, siamo allenati per una nuova traversata.

mercoledì 9 marzo 2011

Un nuovo viaggio in cantiere

E poi un giorno ti rendi conto che i sogni possono diventare realtà se si coltivano con amore come una delicata piantina. Tutto sembra incredibilmente funzionare, come non mai. L’ingranaggio combacia, la macchina comincia a muoversi. E nonostante le difficoltà non manchino, l’ingranaggio non si inceppa più per colpa dei tanti bastoni tra le ruote. Può finalmente iniziare il viaggio.
Non mi preoccupo del bagaglio, dei comfort, e nemmeno di avere soldi a sufficienza per tutto il tragitto. Tutti dettagli di poco peso. Ho scelto il compagno di viaggio, la persona con cui voglio condividere la mia vita. La persona con cui ho sempre voluto condividere la mia vita.
Serviva un nuovo blog per il reportage di questo nuovo viaggio destinazione matrimonio.