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mercoledì 2 maggio 2012

Stevia, una dolce rivoluzione naturale?

Uno zucchero a zero calorie, che non provoca carie ai denti e che può essere usato anche dai diabetici in quanto non innalza la glicemia?

Sembra fantascienza e invece no, esiste davvero ed esiste in natura, da sempre, sapienza antica di popoli indigeni sudamericani.

Si chiama “Stevia”: un piccolo dettaglio che tra una strage e l’altra quei geni dei conquistadores europei si sono dimenticati di annotare…oppure che le lobby legate alle multinazionali dello zucchero hanno impedito di divulgare per evidenti motivi di interesse economico…

La notizia è di portata storica. Le riviste e i siti di gastronomia, alimentazione e green philosophy ne parlavano da tempo ma solo da pochi mesi il prodotto è ufficialmente in commercio anche nei principali supermercati italiani.
La piccola responsabile di questa dolce rivoluzione naturale, la “Stevia”, è una pianta di origine sudamericana le cui foglie possiedono un’elevatissima capacità dolcificante (ben 300 volte maggiore rispetto al saccarosio, il comune zucchero bianco da cucina), ma senza alcun tipo di valore nutritivo, il che significa: zero calorie. Zero!

Ma perchè mai questa piantina è rimasta pressochè sconosciuta fino a poco tempo fa?
Non solo era sconosciuta, ma è stata considerata addirittura "fuorilegge" nel mercato internazionale per il sospetto che alcuni suoi componenti fossero cancerogeni.
Oggi è stata dichiarata sicura per la salute umana dalla FAO e dall’OMS e dal 2011 anche dall’Unione Europea, la quale ha autorizzato la vendita. Ma anche l'aspartame è stato ampiamente autorizzato alla vendita e poi invece è emerso che si sapeva fin da subito della sua cancerogenicità.

Ad ascoltare i nutrizionisti e i naturopati Stevia sembra essere davvero la soluzione di tutte le battaglie contro lo zucchero, quello bianco raffinato, davvero nocivo. Sarà davvero così?
Pare che l'unica vera e propria pecca sia il fatto che lascia un retrogusto piacevole di liquirizia che purtroppo altera il gusto del caffè. Ma tanto il caffè va bevuto amaro....
Interessante argomento da approfondire...



Per saperne di più sullo zucchero bianco....(SE PROPRIO VOLETE SAPERLO...)
Lo zucchero bianco è già stato da tempo condannato per le sue conseguenze dannose per la salute dovute all’eccesso di sostanze chimiche che intervengono nel suo lungo processo di produzione. Lo zucchero bianco, che ingeriamo non solo come dolcificante quotidiano di caffè e tè ma che è presente in innumerevoli pietanze più o meno confezionate, e' il prodotto finale di una lunga trasformazione industriale che uccide e sottrae tutte le sostanze vitali e le vitamine presenti nella barbabietola o nella canna da zucchero che sono il punto di partenza per la produzione dello zucchero.Inutile chiedersi qual è il motivo di un processo simile: lo zucchero bianco è esteticamente più bello di quello grezzo e inoltre ormai il nostro palato si è abituato a quel gusto innaturale e fatica ad apprezzare quello originale. Pazzesco no?Lo zucchero bianco, cosi' come viene attualmente prodotto, e' praticamente una sostanza innaturale e dalle caratteristiche tossiche.Il succo zuccherino proveniente dalla prima fase della lavorazione della barbabietola o della canna da zucchero, viene sottoposto a complesse trasformazioni industriali: prima viene depurato con latte di calce che provoca la perdita e la distruzione di numerose sostanze organiche, proteine, enzimi e sali di calcio. Per eliminare poi la calce in eccesso il succo zuccherino viene trattato con anidride carbonica e infine con acido solforoso per eliminare il colore scuro. Solo alla fine di questo procedimento chimico viene sottoposto a cottura, raffreddamento, cristallizzazione e centrifugazione. Ma non finisce qui perché così si produce lo zucchero ghezzo (quello di canna per intenderci).Lo zucchero, per essere “gradevole” agli occhi degli europei, viene filtrato e decolorato con carbone animale e infine, per eliminare gli ultimi riflessi giallognoli, viene colorato con il colorante blu oltremare o con il blu idantrene (proveniente dal catrame e quindi cancerogeno).Insomma, quello che consideriamo innocente zucchero è una miscela trattata con calce, resine, ammoniaca e acidi vari, al sapore di barbabietola da zucchero.Nessuna traccia di quelle vitamine, sali minerali, enzimi, oligoelementi presenti nella sostanza originaria, anzi. Per poter essere assimilato e digerito dal nostro organismo lo zucchero bianco utilizza vitamine e sali minerali già presenti nel nostro corpo, provocando processi fermentativi con produzione di gas e tensione addominale, alterazione della flora batterica etc etc…I danni provocati da questo dolce veleno sono numerosi e dimostrati, ma è talmente presente nella nostra cultura alimentare, in innumerevoli prodotti e in generale nel nostro palato che sembra impensabile eliminarlo dalla nostra dieta. In tanti hanno provato a imitarlo artificialmente ma senza successo in quanto aspartame, saccarina, acesulfame e altri dolcificanti artificiali sono altamente dannosi (ne ha parlato recentemente anche una puntata di Report).Questo spiega abbastanza esplicitamente come mai solo oggi si parli di questi effetti nocivi e soprattutto come mai solo oggi si sviluppi il commercio di uno sgradito concorrente commerciale. la Stevia, uno "zucchero" naturale, non calorico, tutto da scoprire...




Data la scarsezza di informazioni sull'argomento mi sono documentata su alcuni portali tematici elaborando un sunto che spero non contenga troppe inesattezze:


Alcune fonti
http://it.wikipedia.org/wiki/Zucchero
http://notizie.guidaconsumatore.com/004651_zucchero-bianco-o-di-canna/
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/03/13/il-caso-ora-in-italia-anche-stevia.html
http://www.lucaavoledo.it/2012/01/stevia-dolcificante-naturale-finalmente.html
http://www.greenme.it/mangiare/altri-alimenti/4801-dolcificanti-naturali-10-valide-alternative-allo-zucchero-bianco
http://www.eticamente.net/1837/zucchero-bianco-un-vero-e-proprio-veleno.html
http://lapulcedivoltaire.blogosfere.it/2012/04/aspartame-zucchero-o-stevia-rebaudiana.html







giovedì 29 marzo 2012

Vinitaly 2012, no wifi no party

Una volta ci si accordava sempre "se ci perdiamo il punto di ritrovo é qui". Oggi con i cellulari non lo facciamo più. E quando i cellulari non funzionano si va in tilt. Come al Vinitaly, la più grande fiera internazionale dell'enologia che si è conclusa ieri a Verona e alla quale ho partecipato per il terzo anno come pr di alcune cantine.
I cellulari hanno sempre avuto problemi di connessione al Vinitaly, dicono quelli che c'erano anche 10-20 anni fa. Saranno i padiglioni in cemento, sarà il sovraccarico delle linee dovuto a una moltitudine di gente che cerca di telefonare...fatto sta che proprio li, alla fiera che è fatta apposta per sviluppare business e dare visibilità alle aziende gli attuali strumenti essenziali di comunicazione (telefono cellulare, connessione internet da cellulare o ipad) non funzionavano affatto. O comunque quando funzionavano funzionavano male.
Agenti che correvano in giro a cercare quei clienti con cui avevano appuntamento, giornalisti twittomani incazzati neri, pr e addette stampa disperate attaccate al telefono per cercare di prendere la linea...
Per carità, è vero che si è lavorato lo stesso...ma con che disagi!
Oggi siamo talmente abituati a gestire le nostre attività via wifi, soprattutto chi si occupa di comunicazione, che si rischia di mandare a quel paese un progetto intero per assenza di connessione internet. Attività sui social, invio di comunicati stampa, recall telefonico, visualizzazione della posta...tutto il mio lavoro si basa fondamentalmente su due strumenti: il telefono e il pc connesso ad internet. Senza sono disoccupata.
Che dire, una fiera delle dimensioni del Vinitaly é assurdo che non preveda adeguate soluzioni al problema del sovraccarico delle linee.
Però mi fa pensare alla mia dipendenza dalla rete, lavorativamente parlando. E non solo. Alla dipendenza dalla rete di tutto ciò che gravita intorno alla comunicazione.
Se per qualche motivo dovesse un giorno essere tagliata la connessione internet e telefonica saremmo davvero perduti. Un po' come nel film di Kevin Costner "the postman", bisognerebbe ricominciare a viaggiare ...

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lunedì 12 marzo 2012

HoneyUsa: New York. Things to eat or not.


29 luglio 2011. New York. Things to eat or not.

Muffin, hot dog, hamburger, pollo fritto. Marco sta approcciando gli States attraverso un suo personale tour gastronomico che comincia agli angoli delle strade dove ci sono i baracchini con i pakistani che vendono hot dog fumanti e che finisce dentro i fast food di Manhattan.

Per me, che ho letto "Se niente importa" di J. S. Foer e non sazia ho completato l'opera con "Ecocidio" di Jeremy Rifkin, l'unica cosa commestibile finora in questo paese resta il pane. Anche se - intendiamoci- si tratta di sicuro di pane stracolmo di conservanti e grassi idrogenati.
Per fortuna qui sotto l'appartamento c'è un piccolo supermercato, fornitissimo di bibite dai colori fluorescenti grandi 5 litri. Gironzolo nelle corsie e leggo le etichette dei prodotti. La faccia schifata.
Trovo un vassoio di plastica con frutta a pezzi. 12 dollari. Tutto costa tanto. Tutto sembra plastica.
Ho comprato un po' di carote. Ma sanno di plastica.

Marco si inciucca di Big Mac, io di Caesar Salad al Mc Donald. Miodio, proprio io. La disperazione.
Patatine fritte con ketchup. Sono solo tre giorni che mangiamo qui e mi sembra già un'eternità. Sento il bisogno fisico di  qualcosa di integrale, di sano. Di non unto, di non fritto.
Sono sicura che basterebbe solo sapere dove andare e si troverebbero migliaia di ristorantini etnici, caratteristici, magari anche italiani. Ma non ho fatto in tempo a studiarmi le guide gastronomiche di NY. E comunque so già che saremmo ugualmente schizzinosi.
Italiani viaggiatori del cavolo. Pochi giorni lontano dalla salsa di pomodoro e scatta la crisi d'astinenza.
Posso amare follemente l'incontro con altre culture e civiltà. Ma non posso sopravvivere senza la salsa di pomodoro.
Che poi, strano a pensarlo, ma il pomodoro è stato importato in Europa proprio dall'America, dove la coltivazione della pianta del pomodoro era diffusa già in epoca precolombiana in Messico e Perù.

Sarà che amo le cose genuine, originarie. Avverto la necessità delle cose vere. Soprattutto qui in America, dove sembra che invece sia tutto finto, esattamente come il cibo che ci finisce nel piatto.

Se vuoi leggere l'intero diario di viaggio clicca qui

mercoledì 14 settembre 2011

La mia prima vendemmia

Si può dire di aver vissuto senza aver mai provato l'ebbrezza di una vera vendemmia?
Cittadina da sempre, non ho mai visto da vicino questo rituale contadino antico. Me ne vergogno, perché si tratta di una carenza culturale imperdonabile.
Curiosa per deformazione professionale, ho trascinato marito ed amici alla vendemmia del Valdobbiadene DOCG, tra le spettacolari colline trevigiane di Guia.
Giornata stranamente calda per la vendemmia, quest'anno anticipata a fine agosto. Pantaloni lunghi e scarponi da montagna. L'appuntamento è direttamente in vigna, dove ci accompagna personalmente Desiderio, il titolare della Cantina Bortolin Angelo Spumanti, produttore di un Valdobbiadene DOCG da Gran Medaglia d'oro. Se dobbiamo vendemmiare allora andiamo a farlo dove si produce il miglior spumante del mondo no?
Il posto è spettacolare. Il vigneto si distende sulla riva di una collina, del tutto nascosta dalla strada, a cui si accede solo tramite uno stretto sentiero asfaltato. Franco, il proprietario del vigneto e cognato di Desiderio, ci aspettava li insieme a moglie e tre figli e alle sue due sorelle anch'esse con marito e figli. É domenica e questa non é gente che vendemmia di professione. Ci siamo infiltrati nel bel mezzo di un rituale familiare.

Il vigneto apparteneva al padre di Franco insieme a un altro pezzo della collina e a quella casa laggiù, oggi venduta e restaurata, ma ancora disabitata.
Mentre iniziamo a recidere i grappoli succosi con delle apposite forbici le sorelle di Franco e la moglie Giovanna ci raccontano episodi della loro infanzia in vigna, il tempo in cui abitavano in quella casa senza elettricità e acqua corrente, quando la nonna allevava bachi da seta sull'enorme gelso che sorge ancora nel cortile. Giovanna ricorda i consigli di suo padre Angelo, il fondatore della Cantina che porta il suo nome, su come procedere in modo ordinato la vendemmia lungo i filari, e descrive i giochi dei bambini che avevano il compito di raccogliere tutti gli acini caduti a terra...
Il tempo si ferma. Rimane solo il profumo dell'uva matura. I cani corrono liberamente per il vigneto insieme ai bambini.
Man mano che si procede si osserva come cambiano i grappoli a seconda della posizione del tralcio: più vicino al bosco e al lato ombroso della collina sono meno maturi, gli acini verdi e meno polposi. Mentre lassù dove il sole illumina i filari fino a sera sono più belli, ricchi e succosi. Si capisce così la profonda differenza che c'è tra il Prosecco doc (coltivato in pianura) e il docg (in collina). La fatica del lavoro in questi vigneti eroici é tutta descritta nei profumi inconfondibili del Valdobbiadene docg. Un succo di storia e di sacrifici. Quelli di una famiglia come questa di Angelo, ad esempio, oggi premiata dal riconoscimento internazionale per l'alta qualità dei suoi spumanti.
Grazie al nostro inesperto contributo la vendemmia finisce presto. Quattro persone in più, per quanto digiune di esperienza e tecnica, possono fare la differenza. E cosi c'è tutto il tempo di allestire una tavolata sotto un vecchio noce. Quel noce da cui spunta, quasi spettrale, una falce, dimenticata lassù appesa chissà quanto tempo fa dal padre di Franco. Il noce ora l'ha inglobata al suo tronco, come a voler conservare anch'esso un ricordo della famiglia che per tanti anni ha coltivato con amore quella terra.
Già, perché sembra proprio che la terra riesca a cogliere le emozioni delle mani che la lavorano. Ed è proprio quella stessa passione per la vite e i suoi frutti che contraddistingue ogni membro della famiglia Bortolin. Una passione estremamente contagiosa e travolgente, che abbraccia con generosità e sincero affetto ogni persona che ne entri in contatto.
Come noi, per un giorno adottati nella vigna dalla famiglia Bortolin. Bere un bicchiere di vino d'ora in poi non sarà più la stessa cosa.

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lunedì 5 settembre 2011

Tiramisù vs Francesca 1-1

Ho sempre fatto sapere in giro di non essere brava a cucinare. Non che sia vero. Semplicemente non ho avuto molte occasioni di cimentarmi. Ora é una questione di principio.
Ho cominciato a battermi con il tiramisù: avversario freddo, tradizionale, coinvolto emotivamente perché è il dolce preferito di mio marito. 3 uova, 250gr mascarpone, 55gr zucchero, cacao amaro in polvere, caffè, savoiardi.
Messo giù così sembrava facile.
E invece al primo match ho perso rovinosamente.

I tuorli montati al minipimer con il mascarpone sono impazziti e mi sono accorta troppo tardi che erano da aggiungere anche gli albumi montati a neve: li avevo già buttati nella spazzatura...
Risultato umiliante. Il gusto era quello del tiramisù ma mancava del tutto la consistenza. Me ne sono mangiata una porzione per punizione prima di mandare la sbobba a raggiungere gli albumi...

Ieri si è svolto il secondo match. Impresa compiuta completamente a mano. La crema montata con la frusta e con l'aggiunta degli albumi é venuta una meraviglia: morbida, spumosa. Al posto della squanfida vaschetta di alluminio ho optato per colmare dei bicchieri di cristallo. Una spolverata di cacao amaro. Forse i savoiardi erano un po' troppo imbevuti di caffè ma la vittoria é stata conquistata con generali ovazioni.
1-1
A breve lo spareggio.


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mercoledì 13 aprile 2011

in degustazione

Profumi inebrianti più che liquidi alcolici. Mi sono concentrata sugli odori e sulla fantasia che essi evocano. Approccio da principiante. Sa di mela, miele, banana, ciliegia, legno.
Nei calici di vino che ho degustato al Vinitaly quest'anno, nel piccolo tour fatto sabato con gli amici, ho apprezzato in particolare la dolcezza, di cui tanto sente la mancanza il mio palato. Lo so, dicono che i palati fini preferiscono il brut. Ma io voto extra dry, se parliamo di Prosecco Superiore di Valdobbiadene DOCG.
Mi sento come Alice nel paese delle meraviglie. Non ci capisco granchè. Però mi piace.

Ho vagato dal Veneto alla Puglia arrendendomi definitivamente alla Sicilia e ai suoi passiti e a quel nettare indescrivibile del marsala alla mandorla di Alagna. (Era da un anno che lo aspettavo!)
Il mio viaggio nel mondo del vino è appena iniziato, solo un anno fa vivevo l'esperienza del mio primo Vinitaly, pochi mesi fa il primo corso di degustazione, i primi concetti base sulla viticoltura, i primi testi e comunicati stampa, corretti e ricorretti finchè non ho cominciato a capire di più... Doc e Docg, cuvèe, perlage, vinificazione in bianco di uve nere, metodo Charmat, e poi tappi in sughero (rigorosamente), lotta al Tca, microssigenazione...

Dai libri di storia e filosofia alla terra, in po' come gli intellettuali cinesi ai tempi della rivoluzione culturale. Dalla cronaca vorace dei media allo scorrere lento delle stagioni in attesa della vendemmia.

Il vino mi stupisce ogni giorno di più. E più che il vino in sé il suo substratum, il dietro le quinte, la passione dei viticoltori e degli enologi che difendono il frutto della terra che amano.
Come l'artista ama la sua opera d'arte, esattamente.
Osservo divertita questo mondo, incuriosita dalla sua dimensione umana e sociale, stupita di fronte al suo impatto economico.
Ammaliata dai suoi colori e dai profumi.
Addolcita - e ne ho bisogno - dai suoi aromi.