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mercoledì 24 luglio 2013

L'incoscienza dei grandi passi

Sposarsi, mettere al mondo un figlio o firmare un contratto di mutuo sono cose che non si possono fare stando troppo a ragionare. 
Voglio dire, chi si sposerebbe mai se razionalmente si mettesse lì a pensare ai rischi, alle complicazioni, ai sacrifici e ai mille problemi che possono sorgere? E chi mai metterebbe al mondo un figlio considerando il peso della responsabilità, l'impegno educativo e le ansie che per tutta la vita ti accompagneranno?
Quando poi una persona sana di mente firmerebbe mai un contratto di mutuo impegnandosi per tanti anni per pagare praticamente il doppio dei soldi che ti prestano, con tutti quei vincoli e rischi? 

I grandi passi vanno fatti con un briciolo di incoscienza o semplicemente fidandosi ciecamente della Provvidenza. 

lunedì 8 luglio 2013

Chi si nasconde dietro la monetina

Chi passeggia insieme a me si potrà stupire della mia freddezza nei confronti dei tanti mendicanti che si incontrano per la strada. Non mi vedrà mai aprire la borsa per cercare qualche monetina, nè tantomeno offrire l'elemosina.
Stringe il cuore passare oltre, ma a me sinceramente stringe più il cuore che quel mendicante sia lì. E so benissimo che con la mia elemosina non farei che perpetuare la sua presenza sulla strada.

Ad una prima superficiale impressione il mio può sembrare un gesto di indifferenza e insensibilità, poco in linea con quei principi cristiani che mi contraddistinguono. E invece è proprio il contrario.
Perchè non è questa l'elemosina che corrisponde al Vangelo, ma solo un gesto egoistico che fa mettere a posto la coscienza e che non aiuta affatto il mendicante ad uscire dalla sua povertà, anzi.

Mi sono stupita anche io le prime volte che i missionari e i tanti volontari impegnati in prima fila con gli ultimi, sia in paesi lontani che qui a casa nostra, mi hanno insegnato il vero rovescio della medaglia dell'elemosina.
"Se vuoi far davvero del male a un povero - mi hanno sempre detto tutti - fagli l'elemosina. Lo aiuterai a vivere un giorno di più in quella condizione e non gli permetterei di trovare una strada alternativa".
Ovviamente non finisce qui. Il gesto di non fare l'elemosina deve essere seguito dall'impegno a sostenere piuttosto le tante realtà di autentica assistenza che sanno gestire nel modo migliore gli aiuti nell'ottica di  sostenere le persone davvero bisognose e non solo dal punto di vista economico.

Mi dispiace quindi riscontrare lo stupore e lo sdegno che in questi giorni sta suscitando la notizia che al Duomo di Mestre ci sia un servizio di sorveglianza che mira ad allontanare i mendicanti che in modo sempre più aggressivo e violento interferiscono con le celebrazioni. Roba da andare su tutti i giornali.
Non corrisponde, a prima vista, a quell'immagine di Chiesa indiscriminatamente accogliente e vicina agli ultimi che tanto va di moda ora che Papa Francesco sta calcando la mano (giustamente) in quella direzione.
Eppure  in realtà tutti coloro che si occupano davvero di carità cristiana e di ultimi sanno benissimo ( e dovrebbero dirlo a gran voce) che per aiutare chi è bisognoso bisogna lottare per difendere il suo posto di privilegio contro l'aggressività dei furbi e dei disonesti. E' brutto, lo so, ma anche tra i poveri ci sono gli onesti e i disonesti, e non si fa del bene agli ultimi nè con il razzismo nè con il buonismo indiscriminato.

Se solo smettessimo di dare l'elemosina ai mendicanti ci sentiremmo un po' meno in pace con noi stessi e giustamente inquieti di fronte alla povertà. E forse eviteremmo di contribuire al perpetuarsi dello sfruttamento dei mendicanti costringendo chi davvero ha bisogno a rivolgersi ai centri di carità, che sono sempre gestiti dalla quella stessa Chiesa apparentemente severa che rifiuta l'elemosina sul sagrato.

Le cose, certo, sono sempre molto più complicate di come si sintetizzano. Sarebbe da riflettere a monte su tutti i meccanismi che causano la povertà e si può star certi che tutti coloro che sono abituati a dare la propria elemosina finirebbero con lo scoprirsi terribilmente complici del sistema che la causa.
Non ci nascondiamo dietro a un dito o dietro una monetina.

mercoledì 20 marzo 2013

Ma petite lumière

Il mio esperimento di digiuno da Facebook sta proseguendo a gonfie vele, ma non senza strappi alla regola.
Lascio le mie considerazioni complessive alla fine della quaresima, in un post che sto preparando.
Ma nel frattempo un'anticipazione.
Ho deciso di digiunare da Facebook simbolicamente per il periodo della Quaresima, per poter dedicare più tempo alla preghiera e all'introspezione.
È proprio questa introspezione che mi sta portando ad una considerazione: Facebook è solo uno strumento, ma uno strumento privilegiato di condivisione, dialogo e testimonianza dal quale non posso prescindere.

Proprio come cristiana la mia testimonianza è un dovere.
Una testimonianza di fede che si esprime nelle scelte di vita, nei piccoli gesti quotidiani, nei pensieri, nelle idee e nelle proposte. Quale strumento migliore dei social network e dei blog per la testimonianza oggi?

Le esperienze meravigliose che ho potuto vivere fino ad oggi, dalla parrocchia al volontariato ai viaggi umanitari hanno rafforzato in me una fede sincera, che voglio difendere a tutti i costi. Una piccola fiammella da tenere accesa proprio attraverso la condivisione, come diceva quella vecchia canzone in francese "ma petite lumière je veux que brille..."

Le persone che sono state per me e che sono tutt'ora testimoni di fede vissuta sono persone vere, normali, che hanno testimoniato il loro credo con dei gesti concreti di coerenza al Vangelo e insieme con la professione che la fonte delle loro azioni risiede proprio in quel Vangelo, in Gesù.
Parole e opere, insomma, non possono essere distinte.

E se per le opere cerco di fare del mio meglio, ogni giorno, con tutti i miei limiti e le mie debolezze, per le parole non posso proprio sottrarmi, dato che sono il mio pane quotidiano, il mio lavoro, la mia passione.

Non ho la pretesa di essere una voce autorevole, figuriamoci. Ne tantomeno di saper sempre dire la cosa giusta. Ma ai testimoni non è richiesto questo. Questo è quello che pensano di essere e di dover fare le persone famose o potenti.
Io non ho questa ambizione, ma riconosco di avere la responsabilità della testimonianza. Qualcuno me l'ha detto, e anche se non vorrei so che vengo osservata proprio come un esempio, come un punto di riferimento.

Non vorrei avere la responsabilità di essere un modello, mi sentirei molto piú libera di sbagliare e di essere me stessa senza sapere di avere in qualche modo gli occhi puntati su di me nell'attesa del mio passo falso. Ma essere cristiani significa anche questo, la fede è un dono grande che implica questa responsabilità di fronte al prossimo. Non per affermare quanto si è bravi e quanto si è buoni ma per dimostrare semplicemente che la fonte di ogni nostro talento, di ogni nostro merito e di ogni nostro successo è in Dio, che la fede è una forza in più, che è motivo di grande gioia e pace.

Quindi ecco che per me questa sosta, questo deserto, non é la rincorsa prima di un salto di qualità nella mia comunicazione, che voglio e devo fare con un'ottica di condivisione sincera e mai presuntuosa, di testimonianza e di semplice apertura al mondo.

Che poi, lo devo ammettere, comunicare, condividere, testimoniare è una gioia grande, sprona ad avere uno sguardo sul mondo e sul prossimo, anche se spesso può essere frainteso come puro esibizionismo.
Cercherò di fare del mio meglio e di fuggire il più possibile la tentazione di parlare di me per spendere il mio tempo a condividere con gli altri.

Sono un'anima in pena, non riesco a tacere, non riesco ad isolarmi, non riesco a non condividere, non riesco a non testimoniare che tutto quello che ho é un dono grande, ogni istante, ogni post, ogni status, ogni tweet.

La grandezza di Ratzinger

Più passano i giorni, più il mondo acclama all'umiltà e alla novità di Papa Francesco e più si definisce la grandezza della scelta di Joseph Ratzinger.
Non ho avuto inizialmente grande simpatia istintiva per Papa Benedetto, come molti. Lo conoscevo già, prima che diventasse Papa, e in particolare mi ero impuntata su alcune sue affermazioni relative alla liturgia accompagnata da musica e strumenti moderni. Avendo per anni animato la messa con canti gioiosi e chitarre e cembali e battiti di mani la sua linea più tradizionale mi infastidiva. Tutto qua.
Poi però ho cercato di superare la mia superficiale diffidenza leggendo alcuni testi scritti da lui e scoprendo un finissimo pensatore dalla fede profonda e bella, molto diverso da quel Papa anziano e tradizionalista che i media (e i comici) dipingevano con sempre più aggressività.
Dopo il lungo e impattante pontificato di Woytjla sarebbe stata dura per chiunque. Ma per lui forse lo è stato ancora di più affermare un'immagine positiva in un contesto di continui scandali e sfide che hanno coinvolto la Chiesa.
Proprio per questo la sua scelta di "dimettersi" assume una sfumatura ancora più grandiosa, una grandezza che richiede un'umiltà straordinaria. Umiltà estrema che si tramuta in forza, ed ecco che alla fine risulta davvero vincente proprio nella sua rinuncia.
Ratzinger sapeva benissimo fin dal primo giorno di pontificato che non avrebbe goduto della stessa simpatia popolare di Woytjla, e ha ugualmente vissuto giorno dopo giorno in perenne confronto col predecessore, pur cosciente di essere in perfetta continuità dottrinale.
Ancor più sapeva come sarebbe stato il confronto con il suo successore, eletto proprio da quegli stessi cardinali nominati da lui che non potevano non scegliere un successore più comunicativo.
Provo una grande ammirazione e tenerezza per Ratzinger in questo momento, in cui vive in diretta l'ennesimo confronto in cui agli occhi della massa risulta il perdente, il vecchio, il conservatore e in cui incarna l'immagine di una Chiesa chiusa e lontana dalla gente, invischiata dagli intrighi di palazzo e offuscata dall'ombra degli scandali.
Proprio lui che ha fatto il gesto più umile di tutti, farsi da parte e sopportare di essere superato in consensi dal suo successore.
Ora, ogni volta che si esalta Papa Francesco per la sua informalità e la sua semplicità, la vicinanza agli ultimi, il cambiamento e la capacità di comunicare un'immagine fresca e nuova della Chiesa, bisognerebbe ricordare che tutto questo è avvenuto proprio grazie al grande coraggio di Benedetto XVI.
Grandissimo.

martedì 19 marzo 2013

Il buon consulente di comunicazione di Papa Francesco

Quanto pesi la forma rispetto alla sostanza ce ne accorgiamo in questi giorni che salutiamo la nomina di Papa Francesco come un segno di grande cambiamento. E lo è. E ne sono felice.
Ma penso anche a come sia bastato poco per trasmettere universalmente un'immagine di rinnovamento, di semplicità, di umiltà. Poche parole, pochi gesti e già eravamo persuasi del fatto che questo è il volto della Chiesa che ci piace. Ma ci voleva così tanto?

L'importanza della comunicazione del bene. Sempre così sottovalutata.

Non credo affatto che Ratzinger fosse meno vicino al Vangelo di quanto non sembri esserlo Bergoglio, forse solo non lo comunicava in modo efficace.
Quel bel volto della Chiesa di vicinanza agli ultimi non é una novità: io l'ho sempre visto nel mio piccolo incarnato da tanti, tantissimi cristiani, persone che vivono la loro fede nel quotidiano, nei loro gesti e nelle loro parole ogni giorno e che testimoniano, laici e religiosi, una fede vissuta, bella, limpida, gioiosa, serena.
Forse troppo nascosta. Già, troppo poco comunicata.
Non dovrebbe essere una cosa strana di cui stupirci eccessivamente, dopotutto, che il Papa dica che il potere è servizio o che dobbiamo avere cura del prossimo e del creato. Però vedere la sua foto quand'era vescovo e girava in metropolitana, o in pulmino con gli altri cardinali oppure ancora alla hall dell'albergo a pagare il conto non può che stupire. E far sorridere.

Gran bella tattica di comunicazione, mi verrebbe da dire da addetta ai lavori. Già perchè a volte bastano pochi semplici gesti per trasmettere un'immagine positiva ma ne bastano allo stesso tempo altri pochi per crollare rovinosamente nella classifica dell'appeal superficiale popolare, che è cosa diversa dalla fede, ma serve sempre.

La Chiesa è per sua natura composta da diverse anime e proprio perchè umana è imperfetta, santa e peccatrice al contempo. Perchè non usare quindi un po' di quella sana furbizia che ci suggerisce anche il Vangelo ("puri come colombe e astuti come serpenti" Mt 10,16) e fare del nostro meglio per mettere in luce il volto migliore della Chiesa? Un volto che già c'è in abbondanza nel mondo e che si tratta solo di
far emergere come volto ufficiale?

Perché non puntare, si, su un po' di segni forti, popolari, forse populistici, ma che permetterebbero ( come sta già accadendo) a tanti di limare un po' di pregiudizi?
In fondo è un po' quello che serve anche alla politica: segni. Siamo umani, abbiamo bisogno di simboli, segni, messaggi chiari e semplici.

In questo caso direi che solo parzialmente la forma è sostanza. Ma intanto cominciamo con la forma, che è più urgente, poi andiamo a fondo anche nella concretezza della realtà ecclesiale a renderla, dove non lo sia già, il più possibile coerente con la semplicità e la bellezza del Vangelo.

Papa Francesco sembra sulla buona strada.

Tutto merito dello Spirito Santo, il miglior consulente, ma anche un
po' merito suo per averlo ascoltato ...

giovedì 14 marzo 2013

Papa Francesco e il "bandwagoning"

Prima tutti a dire come doveva essere il nuovo Papa. Ora tutti a dire come sarà il nuovo Papa.
E ovviamente ciascuno lo dipinge come vorrebbe che fosse: rivoluzionario, povero, buon comunicatore, umile, coraggioso contro il potere, legato alla dittatura argentina, dalla parte degli ultimi, contro il capitalismo, non europeo, diverso da Ratzinger.
La stampa sottolinea ora degli aspetti ora degli altri. La gente ne parla così, a pelle, per impressione.

Ognuno di noi ha delle aspettative nei confronti del nuovo Papa e lo vorrebbe su misura, a propria immagine.
Che è un po' quello che ciascuno di noi fa con Dio. Anche Dio lo vorremmo un po' a nostra immagine e somiglianza, ci piace citare dalla Bibbia i passi che ci sembrano più vicini al nostro pensiero ma prendiamo le distanze da quelli più "scomodi". Ci identifichiamo con la Chiesa quando il sentimento popolare è quello di grande euforia, come ieri sera in Piazza San Pietro, ma siamo pronti a rinnegare il nostro battesimo quando la Chiesa è protagonista di scandali e crisi, un po' come fece Pietro nei confronti di Gesù.

Accade così che finchè Papa Francesco è umile e fin dove sembra segnare una rottura con un passato che non ci piaceva, allora siamo tutti improvvisamente cattolici, tutti fedelissimi, tutti a pendere dalle sue labbra. Non appena scopriremo che Papa Francesco la pensa esattamente come Papa Benedetto (che la pensava esattamente come Papa Giovanni Paolo II) su temi come l'aborto, l'eutanasia, il matrimonio gay e altre questioni tipiche da dibattito tra credenti e non credenti, saremo allora pronti a rinnegare la nostra vicinanza, evidenziando la nostra assoluta anticlericalità. Si chiama tecnicamente, nel gergo della politica internazionale, "bandwagoning", cioè saltare nel carro del vincitore.

E la storia dell'umanità è piena di vili esempi.
Siamo terribilmente umani, esattamente come lo è la Chiesa e come, lo ha dimostrato Ratzinger, lo è anche il Papa. Umani, fragili, coraggiosi, imperfetti, grandi.
Ci piace saltare nel carro del vincitore finchè moltiplica il pane e i pesci, poi neghiamo di averlo mai conosciuto al momento della Passione, quando tocca anche a noi la nostra croce.

Ora c'è Papa Francesco. Ci ha chiesto di pregare prima di ogni altra cosa. Poi tutto il resto.

Penso che il Papa, come ogni creatura umana (coniuge, genitori, parenti, colleghi, amici e nemici compresi), vadano amati così come sono, accolti per la loro realtà e non per quello che noi vorremmo che fossero. Il Papa ci ha chiesto di pregare per lui prima di tutto, come forse dovremmo fare per qualsiasi persona, prima di tutto.

Forse avere fede richiede proprio questo coraggioso gesto di saper amare incondizionatamente Dio e il prossimo.
Non è forse questo il più grande insegnamento di Gesù?

Benvenuto Francesco, comunque vada hai il nome più bello di tutti.


mercoledì 13 marzo 2013

Habemus papam

Grande emozione davanti alla tv. E molto più dell'altra volta.
In fondo ci aspettiamo tutti un cambiamento dopo il gesto coraggioso di Papa Ratzinger.
La Chiesa ne ha tanto bisogno.
Il mio Papa. 
L'appartenenza alla chiesa cattolica è la mia unica vera appartenenza. 
Ovunque nel mondo ho trovato nella Chiesa una madre, forte e debole, da amare, da perdonare, da rispettare, da correggere dal di dentro. 

Un pensiero a Scola, il mio ex Patriarca, ora, qualsiasi sia il suo destino.



venerdì 18 gennaio 2013

La cosa giusta

I miei genitori mi hanno sempre insegnato a fare la cosa giusta. E mi hanno insegnato a capire quando un cosa é giusta. Mi hanno insegnato con il loro esempio che fare la cosa giusta raramente é conveniente, che é scomodo, che é faticoso, difficile. Ma mi hanno anche insegnato che é bello.

Non ho mai visto mia mamma e mio papà prendere una decisione secondo il loro comodo, secondo la moda o perché lo fanno tutti. "Perché lo fanno tutti": Questa frase non é mai esistita a casa mia.
Quello che fanno tutti non è mai stato un riferimento.
Li ho sempre visti pesare a manciate i valori di onestá e correttezza, sbilanciandosi in caso di dubbio a loro svantaggio.
Sarà per questo che non siamo mai diventati ricchi o popolari ma siamo stati sempre piuttosto anomali.

Io non posso che comportarmi allo stesso modo. Metto i valori e i principi prima di tutto. Prima del denaro, prima della convenienza.
Le persone che mi circondano raramente mi capiscono e io mi sento sempre un po' un alieno nel comportarmi secondo quelle regole che mi hanno insegnato in famiglia.

Mi capitano ogni tanto delle situazioni particolari nelle quali vengo fortemente tentata dal comportarmi in modo non corretto per una qualche evidente convenienza.
Mi prendono per pazza, cercano di convincermi in tutti i modi. Io resto ferma sui miei passi. Mi lascio scorrere davanti opportunità e tentazioni non senza tentennare o cedere.

Non lo dico perché mi ritengo brava. Quando si fa ciò che è giusto non si é bravi, si é solo giusti. E non si ha diritto ad applausi e ricompense. La coscienza pulita é la massima ricompensa.
Lo dico perché la vita mi ha insegnato che anche se inizialmente fare la cosa giusta sembra controproducente alla fine succede sempre che in qualche modo poi si riveli la scelta vincente.

Non sarà conveniente in termini economici, non sarà conveniente in termini di successo, sarà conveniente in termini umani o, per chi ci crede, in termini divini.

E cosa c'è che valga di più dell'umanità?

Cosa più del divino?


giovedì 24 maggio 2012

Immunità al lusso, il regalo dei poveri

I poveri che ho incontrato lungo la mia strada durante i miei viaggi in Africa o nell'Est Europa mi hanno fatto un regalo. Uno, che non ho potuto rifiutare e del quale ora non posso più fare a meno. Me ne rendo conto davvero solo ora.
Al di là delle classiche cose che si dicono quando si incontra qualcuno che soffre o che vive in condizioni di disagio, cioè "è più quello che ricevo di quello che do". Questo lo dicono tutti coloro che vivono l'esperienza del volontariato, è la grande sorpresa riservata a chi dona gratuitamente, il di più evangelico.
Ma c'è un regalo speciale che porto dentro di me, al di là dei loro tanti insegnamenti di vita, di coraggio, di fede e di speranza. Ed è un regalo che credo di portarmi dentro in particolare dalla baraccopoli di Korogocho, a Nairobi, uno dei 200 slum della metropoli dove milioni di persone vivono in condizioni disumane, a pochi passi dai grattacieli del centro.
L'aver incontrato la povertà estrema a pochi metri dalle ville dei miliardari anche italiani ha innescato in me una sorta di immunità al fascino del lusso. Il lusso non solo non mi affascina, mi irrita, mi infastidisce, urta la mia sensibilità. La povertà estrema che ho visto e annusato a Nairobi mi ha reso ipersensibile al lusso, in senso negativo.
Lo considero un grande regalo perchè vivo molto più serenamente e con maggiore distacco dai beni materiali, i quali per me hanno un valore solo sul piano affettivo e non su quello monetario. Certo, mi piacciono le belle cose, ma non soffro della loro assenza nella mia vita, non le bramo. Penso che non possano dornarmi gioia più di quanta me ne donino (a gratis) un bel tramonto dal terrazzo di casa o il fiorire di una piantina o il sorriso di una persona cara.

Mi rendo conto che in un momento come quello attuale, in cui tutti si lamentano della crisi e delle tasse (e molti non avrebbero nulla di cui lamentarsi...), in cui tutti vorrebbero guadagnare di più, vorrebbero comprare di più, vorrebbero avere più cose... beh io mi sento incredibilmente e forse un po' inconsciamente serena nella mia condizione.
Anche se mi risulta di essere quella nelle condizioni economiche peggiori tra tutti i nostri amici e conoscenti. Anche se siamo gli unici tra i nostri amici a non aver comprato casa e ad essere in affitto in un miniappartamento. Anche se il mio armadio non è mai stato così scarno (ma tanto scarno!).

Mi sento serena e ritengo di non dovermi lamentare di nulla perchè possiedo tutto ciò di cui ho bisogno e molto di più. Possiedo molto superfluo, anche se non ho gioielli o abiti firmati.
Il superfluo è molto più di quello che pensiamo, basta considerare che rientriamo in quel 20% di popolazione mondiale che vive con l'80% delle risorse del pianeta... Il nostro di più è rubato ai poveri. Lo dicono tutti coloro che operano al fianco dei poveri.
Ben venga la crisi che ci aiuti a riscoprire una nuova dimensione di sobrietà e di rispetto dei poveri.
Già, rispetto. Perchè se nella mia vita, che è una vita semplice ma non povera, c'è molto superfluo, allora che dire del lusso? Se il nostro di più è rubato ai poveri, il lusso li insulta.

A pensarci bene forse il regalo dei poveri non è solo un'immunità al fascino del lusso ma implica anche una responsabilità: la sua condanna.

giovedì 9 febbraio 2012

La miglior vendetta

Non mi é mai piaciuta la formula del do ut des. Mi hanno insegnato a spendermi al massimo senza mai fare il conto del ritorno. E se aggiungiamo il mio catastrofico rapporto con i numeri ne viene fuori un disequilibrio costante tra l'energia spesa per i progetti, il lavoro, le persone e ciò che ne guadagno in termini concreti.

Non tornano mai i conti. E viene spontaneo chiedersi chi me lo fa fare quel di più? Perché non mi limito a fare il mio e basta, che è già tanto? Perché devo sempre regalare qualcosa in "soraconto"?

Eppure sono convinta che proprio in questo disequilibrio di dare-avere stia la formula vincente nell'ottenere più benefici. Umani, certo, non economici.
Ogni volta che mi metto in gioco oltre quanto richiesto subisco delle delusioni e sono tentata dall'arrendermi di fronte all'ennesima prova.

Ma la mia esperienza é testimonianza di come sia invece proprio quello il momento di spendermi ancora di più, di rimettermi in gioco ancora una volta, di dare un'altra possibilità a chi mi ha ferito o deluso.
Perché arrendersi è facile, ma saper porgere l'altra guancia ha un che di eroico, di divino. E' in questo che sta la grande forza dirompente della logica cristiana dell'amore.

Donare e donarsi in modo disinteressato e un'arma potente che scombina tutti i calcoli, rimescola le carte e ti consente di vincere davvero senza alcuna vendetta.

O meglio, con la miglior vendetta: il perdono.



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mercoledì 8 giugno 2011

convivenza

Conosco molte coppie che convivono o hanno convissuto, che hanno scelto di non sposarsi, di sposarsi civilmente o di temporeggiare. Per fortuna – e dico per fortuna – viviamo in un momento storico nel quale non siamo mai stati più liberi di scegliere le forme dello stare insieme. La società in cui viviamo ci permette di fare allegramente e senza grandi drammi familiari qualsiasi scelta.
E io che sono un’anticonformista per natura alla fine mi ritrovo a fare la scelta più tradizionale: sposarmi in Chiesa e senza convivere prima.
Ho trovato parecchie persone stupite del fatto che io e Marco abbiamo deciso di sposarsi senza nemmeno ipotizzare la convivenza. Dicono in tanti che quando si vive insieme le cose cambiano. E questo lo sappiamo bene. Le cose cambiano in continuazione man mano che passano gli anni e che la vita quotidiana ti assorbe di impegni sempre diversi: prima c’era la scuola, poi l’università, poi il lavoro e un domani ci sarà la casa e la famiglia. Nuovi equilibri sempre da ricercare insieme.
Io non giudico le scelte di nessuno, anzi. Penso che ciascuno debba sentirsi libero di fare una scelta motivata e consapevole e soprattutto coerente con i suoi principi.
Io per fortuna non ho avuto alcun tipo di contrasto con Marco su questo fronte. Grazie al cielo non si è mai posto un problema di contrapposizione di principi religiosi sul matrimonio. Abbiamo la stessa identica concezione. Troppo facile.

Eppure mi chiedo lo stesso perchè mai non avrei dovuto prendere in considerazione la convivenza.
Una risposta può essere il fatto che ci conosciamo talmente tanto che non ho bisogno di viverci insieme per decidere. Appena possibile ci sposiamo. Ovvio. Perchè dovremmo temporeggiare?
Abbiamo fatto una scelta di "per sempre" da sempre. Gli alti e bassi ci sono stati e ci saranno, li abbiamo superati insieme e insieme ne supereremo altri se abbiamo la medesima prospettiva del "per sempre".
Non avrei mai potuto accettare di sentirmi messa alla prova dalla convivenza, come un oggetto che potrebbe essere difettoso. Non mi piace l’idea della possibilità di resa con lo scontrino. O si acquista il pacchetto completo o niente. Massima trasparenza, nessun segreto. Pienamente informato in anticipo sui difetti di fabbricazione. Prendere o lasciare.

Solo l'uomo della mia vita potrebbe accettare una simile condizione.


Il matrimonio è un per sempre e per tutto.  Sarà anche esigente, ma l'amore mi piace solo se incondizionato. A tempo pieno e a tempo indeterminato.



lunedì 25 aprile 2011

acqua viva

Ho percorso chilometri eppure mi sembra di ritornare sempre allo stesso punto, allo stesso posto, su quell'angolo di altare che è da più di 20 anni la mia casa, confortevole e profumata.
Seduta da 20 anni su quella stessa panca di legno, a sfogliare il libretto dei canti, mi sento che sono compiuta, nonostante i miei sogni mi abbiano fatto vagare più lontano. A volte troppo.
Ma dove voglio andare?
Non desidero veramente nient'altro che restare su quella panca a scrutare l'assemblea, ad assimilare insegnamenti, a sorridere sguardi sinceri e spontaneamente buoni. Qui sopra gli unici problemi sono gli attacchi di un canto, un accordo stonato, il non sapere se il Padre Nostro lo farà cantato o no.

Più viaggio distante, con gli aerei e la fantasia, più torno volentieri a casa. Più cerco una realizzazione nel mio lavoro, nei miei hobby, nei miei mille impegni, più scopro che lontano da questo altare non trovo nulla che sappia estinguere la mia sete.
In fondo non sono affatto ambiziosa. La mia massima ambizione è la serenità. La pace.
La mia più grande rivoluzione partirà proprio da questo altare. Perchè qui ho trovato l'acqua viva, quella capace di estinguere la mia sete.