giovedì 29 settembre 2011

HoneyUSA. New York. Against american coffee

Caffè americano. Parliamone.
Non ci siamo, decisamente non ci siamo. Lo chiamano caffè ma é un liquame dal gusto indefinito che viene servito ustionante in dei grandi bicchieroni di plastica con il tappo e un buco a mo' di beccuccio.
In giro per Manhattan è pieno di gente con sto biberon in mano mentre guida, mentre cammina, mentre telefona al cellulare rigorosamente IPhone).
"Se è tanto gettonato deve essere anche buono sto caffè americano" ci siam detti noi il primo giorno.
Fiondati da Starbucks ordiniamo due caffè americani. E a fatica perché sti americani si mangiano le parole che é un piacere.
2 american coffees and 2 muffins.
Ci consegnano due bicchieroni incandescenti che nemmeno l'apposito cartoncino aiuta a tenere in mano da quanto scottano. Dentro ci si può mettere zucchero, latte, cannella a volontà. Ma io, stoica, no. Il caffè va bevuto amaro.
Aspettiamo che si raffreddi un po' e nel frattempo sempre con sto biberon in mano andiamo in giro per New York proprio come fanno i newyorkesi, facendo tutto con una mano sola. Praticamente due handicappati.
Passano i minuti. Dopo una quindicina di minuti di attesa il contenitore sembra essersi un po' raffreddato.
Tentiamo un piccolo approccio, appoggiamo le labbra al beccuccio ma non arriviamo alla prima sorsata. Se il contenitore era appena più tiepido il caffè dentro era sempre incandescente.
Piovono maledizioni rivolte a tutte le generazioni di immigrati americani e in particolare a quelli che hanno avuto la fantastica idea di inventare il caffè americano, che -tra l'altro- dopo mezz'ora non siamo neanche riusciti ad assaggiare.
Continuiamo a girare col biberon in mano. Sento che il mio dipendente bisogno di caffè deve essere soddisfatto a breve, ma il coso brucia e sembra non accennare a raffreddarsi.
Penso alle tazzine dal bordo rotondo e spesso dei bar italiani, a quel mezzo dito di nettare marrone scuro, denso e profumato, alla cremina in superficie, soffice e intensa, al caffè espresso amaro da far i brividi che lascia in bocca un aroma persistente e dolciastro... Ah il caffè italiano...
Passa un'altra mezz'ora prima che riusciamo a sorseggiare il liquame. Il gusto, amaro, non ha nulla a che vedere con il caffè. É acido, sa da acqua sporca. Ha un odore lontanissimo ma quello che emerge è la plastica.
Che schifo.
Mi son portata dietro l'intrigo per un'ora e adesso non riesco neanche a berlo. Proviamo a metterci dello zucchero. Prima una, poi due, tre bustine. Ma continua a fare schifo.
Ne bevo mezzo solo perché mi secca aver speso i soldi.
Poi finisce nella spazzatura.
Ho bisogno del caffè, proviamo a berlo anche i giorni successivi in altri posti, ma la situazione non cambia.
Mi chiedo se anche i newyorkesi non tengano in mano il biberon solo per moda e poi non lo buttino via. O se non lo usino principalmente in inverno solo per scaldarsi le mani.
Ci credo che poi alla fine devi rifarti la bocca con i muffin... Soffici, unti di burro fino a far schifo...lasciano addosso la sensazione di aver mangiato una mastella di grasso e un principio di dipendenza dopo il primo morso. Un mattone. Almeno 2000 calorie per panetto.
Non ci siamo proprio.
Francesca vs American food: è guerra aperta.


Per leggere gli altri appunti di viaggio dagli USA:
http://caffe-amaro.blogspot.com/p/usa-moleskine_05.html



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