4 agosto 2011 Kingman
Tutta colpa della metriotes, penso. Antiche reminescenze del ginnasio affiorano insieme alle rocce a bordo strada. Tutta colpa del silenzio. Il mio cervello viaggia più veloce di questa Nissan Versa. Ci stiamo avvicinando a Kingman.
Metriotes, che sia quella parola che tanto amavo scrivere nel diario in quei veraci caratteri greci ad avermi immunizzato al contagio del sogno americano?
Metriotes, cioè la moderazione, l'equilibrio, il senso della misura... non sono l'esatto opposto di quell'esagerazione smisurata che sembra caratterizzare ogni cosa in questo smisurato paese?
E
sarà forse quella mia razionale ricerca continua di equilibrio a
rendermi così insofferente nella società americana che è tutto tranne
che equilibrata?
Ci
troviamo nel bel mezzo di un'icona di quell'American Dream che da New
York a Hollywood attira da secoli come una calamita sognatori in cerca
di un'occasione da ogni parte del mondo. Anch'io ho sognato di essere
qui, di indossare stivali texani e godermi il vento in faccia lungo la
Route 66.
Indosso i miei
stivali texani (realizzo solo ora che hanno 15 anni questi stivali!), mi
godo il vento in faccia ma mi sento immune, pur essendo stata attirata
fin qui. Mi sento affascinata ma protagonista. Mi sto facendo un'idea
tutta mia di questo posto, sto perfezionando i contorni delle immagini
accumulate nella mia mente con la tv.
O forse è solo disincanto?
O forse è solo disincanto?
Respiro
la limpida magnificenza del paesaggio, mi inebrio di questi spazi
aperti e dei loro colori, del loro silenzio. Eppure non mi sento
trascinata nel vortice. Ogni chilometro in più che faccio mi sento più
europea, più italiana. Mi sento come se stessi ricomponendo un pezzo
alla volta quello che ero seduta in quella sedia al quarto piano del
Palazzo Bollani, quando feci conoscenza degli amici indiani.
Le mie solite seghe mentali.
Le mie solite seghe mentali.
Ricordo che nella guida si raccomandavano tanto di trovare un albergo lontano dalla stazione poichè questa è anche un punto di snodo importantissimo per la Pacific e l'Atlantic Railroad. Fortunatamente il nostro albergo si trova a debita distanza dallo sferragliare di rotaie e treni merci.
La cittadina di Kingman si trova in effetti nel cuore della mitica Route 66, che la attraversa in pieno. In realtà il tratto di Route 66 che attraversa Kingman non si chiama Route 66 bensì "Andy Devine Avenue" in omaggio all'attore Andy Devine che era originario del luogo.
Troviamo un volantino turistico della città nella hall dell'hotel: sembra essere una location molto frequentata dai turisti considerando la quantità di iniziative e attrattive pubblicizzate. C'è persino un museo dedicato alla Route 66 ma purtroppo lo troviamo chiuso. In attesa che si faccia ora di cena decidiamo di visitare il Locomotive Park che altro non è che una vecchia locomotiva gigantesca adagiata su un prato verde. Un paio di foto di rito sulla locomotiva e davanti al cartello che indica Route 66 e poi un tuffo nella piscina dell'hotel.
Ceniamo in una nota steak house lì vicino dove servono bistecche gigantesche ( e a detta di Marco buonissime) e per fortuna anche panini vegetariani.
Kingman non è niente di che, ma forse è giusto così. Se la protagonista è la Strada, la Mother Road, le cittadine che la toccano sono solo delle tappe anonime, devono stare in secondo piano. Se il sogno americano deve spingere le persone a proseguire la strada non deve esserci niente a farti desiderare di restare, no?
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