mercoledì 8 agosto 2012

HoneyUSA: Indiani o Cowboy?


4 Agosto 2011: Los Angeles - Kingman

Cartolina di Barstow nel 1920
Ripartiamo da Calico. In pochi minuti siamo di nuovo a Barstow e senza passare per il centro ce ne allontaniamo per imboccare l'Interstate 40 diretti a Kingman dove ci fermeremo per la notte. Ci attendono altri 230 chilometri di deserto prima della prossima fermata a Needles e poi ancora un altro centinaio di chilometri fino a Kingman. Riprendo in mano il libro di Zucconi dove l'avevo lasciato. Avevamo appena letto la storia del massacro dell'Acqua Azzurra, nei dintorni di Fort Laramie (Wyoming), dove nel 1955 furono massacrati tra indescrivibili atrocità 170 Sioux e fatti prigionieri altri 76.

Tra coloro che sopravvissero e non furono catturati c'era anche un ragazzo di circa 12- 13 anni che si era allontanato dagli amici per cacciare un cerbiatto e che rientrando per cena al villaggio scoprì di aver perso gli amici e i parenti nella carneficina. Quel ragazzo era soprannominato Riccetto a causa della capigliatura insolitamente riccia per un Lakota, ma sarebbe stato conosciuto più tardi con il nome di Crazy Horse, Cavallo Pazzo.
La sua leggendaria storia di eroica resistenza allo sterminio da parte dell'Uomo Bianco iniziò proprio con queste vicende.
I capi superstiti del massacro discussero a lungo sul da farsi: p. 54 "I guerrieri volevano battersi, gridando che se l'anno prima avessero potuto spazzare via il forte sguarnito questa strage non sarebbe successa, che i Uas'ichu (i bianchi) avevano aggredito un villaggio in pace e parlavano come sempre con lingua doppia, accusando di un'aggressione loro che invece l'avevano subita" (Gli spiriti non dimenticano, Vittorio Zucconi).

Man mano che negli anni ho letto libri sulla storia dei nativi americani mi ha sempre maggiormente tormentato una domanda: avrebbero forse potuto reagire in altro modo gli indiani all'invasione della propria terra? Hanno forse sbagliato strategia difensiva? Potevano forse evitare i massacri, magari rifiutando loro per primi la violenza? O forse avrebbero dovuto al contrario combattere di più, molto prima e senza troppi scrupoli contro l'invasore e fermare i bianchi quando erano ancora poche centinaia nelle colonie della costa Est? O forse era un destino inevitabile quello di soccombere alla superiorità tecnologica degli europei? In fondo nella storia è sempre stato così, e così è nella natura: sopravvive il più forte, il più furbo, quello con strumenti e tecnologie più potenti... Ecco perchè ho sempre tifato per le vittime della storia e non ho mai potuto sopportare i potenti.


Da pacifista qual sono sempre stata mi viene difficile appoggiare qualsiasi lotta armata. Ma gli indiani mi hanno sempre messo in discussione.
E infatti sono curiosa di continuare a leggere la storia di Crazy Horse, nella speranza di avere finalmente un'idea chiara sulla questione indiana. Leggerla mentre attraversiamo questi territori deve avere un significato più profondo. Non è qui in Arizona che sono ambientati i fatti dei Sioux, ma anche qui ci sono stati episodi di conflitto e massacri, anche queste montagne hanno potuto assistere al drastico cambiamento di civiltà dominante, ne hanno indubbiamente pagato il prezzo.
E io, vissuta nell'800 americano, come mi sarei schierata? Al fianco di chi avrei difeso i miei ideali? Avrei creduto più nel progresso o nella difesa delle tradizioni dei nativi?


Mi faccio queste domande da quando avevo 14-15 anni, nella mia cameretta avevo appeso un acchiappasogni e guardando le puntate della Signora del West, mi identificavo nella idealista Dr Mike, la mia unica vera eroina di sempre. Oggi che di anni ne ho 30 continuo ad identificarmi nella stessa eroina ma con quel po' di disincanto in più che mi è stato regalato dalla vita e dalle esperienze. Ci credo ancora all'idilliaco paesetto del west che nel telefilm si chiama Colorado Springs? No proprio.

La visita a Calico mi ha fatto vedere le cose ulteriormente da un'altra angolatura. La vita della frontiera non era così paradisiaca come sembra nei telefilm (che essendo fatti da americani non possono essere certo troppo critici con quella che è la loro storia). In questi villaggi polverosi ed isolati si lavorava come muli, nelle peggiori condizioni igieniche e in un clima di generale anarchia, che significa la legge della jungla. Posti come Calico erano abitati da gente senza radici, migranti in cerca di fortuna, miserabili, ladri e criminali di vario genere, persone che cercavano di fare affari per costruirsi una vita migliore un po' come potevano. Ne veniva fuori una comunità variegata talvolta integrata e solidale ma molto spesso chiusa e in conflitto, dove ciò che mancava di più era una storia nella quale identificarsi. In fondo la "storia", per molti americani, è proprio questa.
Se la sono costruita alla meno peggio come quella cittadina arrampicata sulla montagna brulla di Barstow, quattro baracche di legno trasformate in museo esattamente come hanno trasformato in gloriosa una storia tragica e di sopraffazione, in progresso ciò che è stato genocidio.
Marco continua a guidare, io continuo a leggere a voce alta. Il paesaggio si fa terribilmente bello e monotono. E io mi sento sempre più parte di questa natura, di questa terra e della sua storia: in qualche modo protagonista, in qualche modo complice, in qualche modo colpevole.


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